selenevalentina

giovedì 29 dicembre 2011

NONNA


Nonna, raccontami una fiaba.

Nonna, restami vicino
e più facile sarà per me imparare
le tante cose che devo studiare.

Nonna, ho conosciuto un ragazzo
te lo voglio presentare.
Lo amo tanto sai e con lui
la mia vita voglio passare.

Nonna, prendi in braccio
la mia bambina
le ho dato il tuo nome
per farti capire
quanto ti voglio bene.

Non ho mai detto queste parole
mai ho avuto una nonna vicino.
Spero mi guardino dal paradiso.
Ma tu se lo puoi fare
dalle tutto l’amore che c’è in te
fallo un pochino anche per me.

mercoledì 28 dicembre 2011

CREPUSCOLO

Sospeso è il pensiero
nell'attimo fuggevole
del crepuscolo.
Altalenante nel restare
fra la... luce... sicurezza
o abbandonarsi
all'incognita... buio.
Ma è quando l’incertezza
già si fa incalzante
che nella magia dell'ora blu
la prima stella s'accende.
E si resta fermi affascinati
Nel vano sforzo
di poterle contare.

venerdì 23 dicembre 2011

NEVE

Effetto neve.
S'attutiscono i rumori
per non rompere il silenzio.
Assopitevi
dolorosi pensieri
come terra dormiente
sotto coltre leggera.
Assopitevi
il tempo panacea
attenuerà il risveglio.



sabato 17 dicembre 2011

AUGURI

Già il Natale rifulge
In tutte le vetrine.
Già carrelli ricolmi
Si svuotano in bauli d’auto.
Già donne indaffarate
Si scambiano consigli di menù
Ad ogni passo incroci
Sorrisi di circostanza.
festeggiamenti e auguri
o silenzio e solitudine .
che in questi giorni pare
peso ancora più greve.
Dolci, baci e regali
o indifferenza, malinconia
E a chi è rimasto solo
vecchio o dimenticato
che cosa puoi regalare?
Fra tante cose speciali
scegli quella che sarà
la più gradita.
Regalagli…… AMORE.


mercoledì 14 dicembre 2011

IL QUADRO

Era luminoso l’appartamento di Eleonora. Situato all’ultimo piano di un grattacielo arredato con mobili chiari ed essenziali. Alle pareti, numerosi quadri ad olio, firmati David Morgan, dai colori tenui, a volte un poco sfuocati, ma che davano sempre l’impressione di una grande profondità e suggestione. Da un’ampia vetrata, sulla quale, alla sera veniva fatta scorrere una spessa, ma nello stesso tempo leggiadra tenda azzurra, si accedeva ad una vasta terrazza, che pareva essere sospesa nel cielo. A volte le nubi erano talmente basse, che sembrava fosse sufficiente allungare una mano, per entrare nella loro sofficità. Nelle notti stellate, la luna si fermava a curiosare e ad accarezzare i lunghi capelli di Eleonora, così scuri e lucenti ed a specchiarsi nei suoi occhi blu cobalto, che da molti mesi erano spesso inondati da lacrime di un immenso dolore. La ragazza rimasta orfana, in giovane età e senza nessun altro parente, aveva saputo con tenacia mantenersi agli studi, facendo vari lavoretti e ottenendo sempre borse di studio. Appena laureata era stata assunta in un importante ufficio, dove con un ottimo stipendio, lavorava insieme a numerose colleghe. Nel luogo di lavoro, era sempre gentile e corretta, ma non era solita dare molta confidenza. Solo con Helen nella pausa pranzo, si fermava a parlare e qualche volta, l’aveva invitata nel suo appartamento, per un caffè. Proprio insieme all’amica, qualche anno prima, era entrata nella Galleria d’Arte situata a pochi metri dal suo ufficio. Questa era gestita da Paul e David Morgan, padre e figlio. David, benché giovane, era già un pittore affermato e su un’intera parete della galleria, si potevano ammirare i suoi quadri. Già dalla prima volta, che i loro sguardi si erano incrociati, era scoccato qualche cosa. Non un colpo di fulmine, ma un’amicizia, diventata sempre più profonda, che si era poi tramutata in un grande amore, che presto sarebbe stato coronato dal matrimonio. Solo la felicità sembrava aleggiare intorno ai due giovani e anche Paul era molto contento, perché pensava, che così avrebbe avuto anche un’adorabile figlia. Il destino, spesso, ha in serbo strane trame, che noi non comprendiamo. Così un pomeriggio, nel quale David si trovava davanti alla sua Galleria, un’auto pirata sbandando, salì sul marciapiede e lo uccise. Il dolore di Eleonora e di Paul sembrava inconsolabile, ma la vita deve andare avanti. Così lui continuò a tenere aperta la Galleria d’Arte, ma i quadri di David rimasti sulla parete, non furono più messi in vendita, e non cedette neppure di fronte a importanti offerte, perché gli sembrava, che separandosene, avrebbe perso ancora di più il suo unico figlio. Ogni giorno dopo il lavoro, la ragazza, prima di rientrare nel suo appartamento, passava da Paul per un saluto, poi si soffermava a lungo davanti ai quadri del suo David. Da uno in particolare non riusciva a staccare lo sguardo. Rappresentava un laghetto, irrorato da tenui bagliori di un tramonto d’autunno. Alberi intorno, che si specchiavano nelle acque chiare e in fondo un piccolo cottage con un pontile e una ringhiera di legno. Il tutto sembrava avvolto da un'impalpabile nebbia che gli conferiva una struggente atmosfera. Rappresentava il luogo dove si erano dichiarati il loro amore, dove si

erano scambiati il primo bacio e dove erano poi ritornati per trascorrere ore indimenticabili. Una volta Paul l’aveva sentita mormorare “Vorrei poter entrare in quel quadro e restarci per sempre. Solo così mi sembrerebbe di essere ancora accanto a David e sarei felice in eterno”. L’uomo le aveva accarezzato i capelli, apprestandosi poi a servire alcuni clienti. Succedeva spesso, che quando lei se ne andava, non la vedeva uscire, perché intento nel lavoro, ma rispettava questo suo comportamento, dettato solo dal desiderio di nascondere la commozione. Il tempo passava e giunse il momento per Paul, di prendere un periodo di ferie, che avrebbe trascorso all’estero, a casa di una sorella. L’ultimo giorno di apertura Eleonora entrò come d’abitudine e gli augurò buone vacanze andandosi poi a mettere di fronte ai quadri del suo amato. All’ora di chiusura Paul salì sulla sua auto e si diresse direttamente all’aeroporto. Non aveva visto uscire Eleonora, ma d’altronde si erano già salutati prima. Al suo ritorno, la prima visita, che ricevette, fu quella di due poliziotti che gli chiedevano se aveva notizie di Eleonora, che era scomparsa una ventina di giorni prima. I colleghi di lavoro, preoccupati da un'insolita assenza l’avevano cercata ripetutamente al telefono, senza ottenere risposta. Helen, era andata anche a bussare alla sua porta poi preoccupata, aveva avvertito le forze dell’ordine, che forzata la serratura, avevano ispezionato l’appartamento, senza trovare nulla di strano. Le tende erano chiuse, dall’armadio non sembrava mancare nulla, ne abiti, ne valige e nelle stanze regnava il massimo ordine. Paul, non sapeva cosa dire, sentiva solo un macigno al posto del cuore. Non poteva perdere anche lei. Si guardò intorno e vide uno dei poliziotti, che stava ammirando i quadri di David. Si avvicinò e sentì che gli diceva. “Sono bellissimi, ma quello che mi ha maggiormente colpito e quello che rappresenta il laghetto con il pontile. La figuretta femminile, poi, appoggiata alla ringhiera gli conferisce un’aria magica”. Paul ascoltava come in trance. Che cosa stava dicendo il poliziotto. Non c’era mai stata nessuna figura femminile in quel quadro. Alzò lo sguardo e il suo cuore si mise a battere all’impazzata. Effettivamente appoggiata alla ringhiera del pontile si vedeva una figura di donna. Guardò meglio e gli sembrò che una delle manine, facesse un movimento impercettibile, come per un saluto. Deglutì rumorosamente, poi tornò a guardare e di nuovo la manina si mosse. Il poliziotto lo stava osservando e gli chiese “ Signor Morgan è tutto a posto, si sente bene?” Paul si riscosse e guardandolo rispose “Tranquillo, mi sento bene, è tutto a posto”.

AI MIEI GENITORI ( 1999 )

Voglio scrivere di voi, ora
che ancora potete gioirne.
E non quando i ricordi
saranno solo miei.
Voglio scrivere di te
padre mio, ora
che ancora posso sfiorare
i tuoi bianchi capelli.
Ora che ancora posso aiutare
le tue gambe stanche
che tanto hanno camminato.
Di te, quando a noi ancor bimbe
insegnavi canzoni che parlavano
di un folclore antico.
Ringraziarti per avermi insegnato
ad amare le parole.
Voglio scrivere di te
madre mia, ora.
Di te, che dell’onestà
ne hai fatto vessillo.
Di te, che l’Angelo Custode
mi hai insegnato ad amare
ed ancora oggi rende serena
la mia non facile vita.
Voglio scrivere ora
che ancora posso stringere
le tue mani, rugose ma instancabili.
Voglio scrivere di voi, ora
perché possiate portare
le mie parole in quel luogo
di pace e di serenità
che la nostra fede
ci ha insegnato ad attendere.
Perché possano essere
ancora nei vostri cuori
quando ci rincontreremo.
Con tutto il mio amore, ora
voglio scrivere di voi.

venerdì 9 dicembre 2011

IL PENTOLINO



"E' quasi ora di cena" Pensa Emma. E' già buio, le giornate si sono incredibilmente accorciate. Spegne il computer, sua finestra sul mondo. Ha imparato, caparbiamente ad usarlo da sola, senza fare corsi ma, voleva assolutamente poter rimanere in
stretto contatto con il figlio ed il nipote, oltre oceano. E con la web cam, può vedere quel pronipotino, che ancora non ha abbracciato. E' vero, a volte, pasticcia un po' con i tasti ma, un tecnico in pensione, che abita nel suo stesso palazzo, glielo rimette a posto, con pochi euro, spiegandole pazientemente come evitare errori. Vive sola, dopo che il marito, l'ha preceduta nel mondo della pace. Oltre al computer, ama leggere e lavorare all'uncinetto e i vari lavori, li dona al vicino Centro Diurno, per le vendite di beneficenza. Ha poche amiche, avendo passato la vita a lavorare e nel palazzo la gente a stento si saluta. Le famiglie cambiano spesso e oltre al tecnico lei conosce di vista, solo la donna, che abita nell'appartamento di fronte al suo. E’ anziana anche lei e l'ha sempre vista uscire e rientrare da sola. Si alza e si dirige verso la cucina. L'appartamento è in ordine. Non un ordine maniacale ma, come lo chiama lei, un ordine composto. Non ha mai dimenticato la frase, che spesso ripeteva la sua insegnante. "Quando avrete una casa vostra, tenetela in modo da poter trovare le cose anche al buio". Di quella frase, ne aveva fatto insegnamento e la cosa le era sempre tornata utile. Apre uno sportello della cucina e prende un pentolino. Lo guarda e scuote la testa. Da quando è rimasta sola e con il passare degli anni, il pentolino usato per il suo pasto è di una misura sempre più piccola. Che fare? Un poco di brodo per la zuppa o la solita tempestina? Le tornano alla mente gli anni della gioventù passati in quel paesino di montagna e i pasti che preparava. Quante ricette scambiate con le altre donne mentre aspettavano, che il pane cuocesse nel forno a legna o mentre lavavano i panni nelle vasche pubbliche. Erano all’insegna del risparmio ma, non per queste poco appetitose, anzi… La polenta condita con il formaggio tenero, la frittata messa in umido, per avere il piatto più pieno, le torte di riso, di patate, di erbette o di verza le riappaiono davanti agli occhi. E anche il budino con latte, farina, zucchero, un tuorlo d’uovo, un poco morbido, era una leccornia da mangiare con il pane. E le teglie con verdure ripiene che scomparivano in un attimo? Ma per Natale e Pasqua, preparava la torta, che le aveva insegnato la nonna. Anche se non la faceva da tanto tempo ricordava perfettamente gli ingredienti, della TORTA AL VENTO. 8 uova-600 gr. Di fecola-500 gr. Di zucchero-4 bicchierini di rum-1 bicchiere di olio di oliva-la scorza di un limone- un pizzico di sale- 2 bustine di lievito- Rompeva le uova e divideva tuorli e albumi in due zuppiere diverse. Ai rossi aggiungeva lo zucchero e mescolava fino a quando diventavano gonfi. Metteva i 4 bicchierini di rum, il bicchiere di olio la scorza, lavata e grattugiata del limone, mescolava ancora a lungo poi, metteva la fecola. Continuava a mescolare, sempre nello stesso verso, come le aveva raccomandato la nonna. Aggiungeva il lievito e da ultimo gli albumi montati a neve molto ferma, ottenuta mettendo il pizzico di sale, prima di usare la frusta. Imburrava una teglia con il bordo alto e la cuoceva nel forno a temperatura moderata per 45 min. senza mai aprire durante la cottura ed era sempre un successo. Dopo qualche anno di matrimonio, si era trasferita con marito e figlio, in città. Il marito era un bravo muratore e in quegli anni, l’edilizia era in forte espansione. Il figlio frequentava la scuola con grande profitto e lei andava a lavorare a ore presso alcune famiglie. Un giorno, che non aveva mai dimenticato, era entrata in casa la lavatrice e a lei era sembrato un sogno non dover più avere la schiena indolenzita dalla fatica. Dopo avevano avuto anche il televisore e quando aveva fatto la prima telefonata, comodamente seduta nella sua cucina, era stato come essere la protagonista di un film. Avevano poi comperato un appartamento e la felicità era stata rotta solo nel momento della partenza del figlio per quel paese lontano, dove però lo aspettava un ottimo impiego. Lo avevano superato perché, si sa che i figli non ci appartengono e devono seguire la loro strada. L’altro grande dolore era stato la perdita del marito, superata con un’immensa fede. E’ ancora lì in piedi con il pentolino in mano. Si riscuote lo appoggia sul ripiano, apre il frigorifero e guarda la teglietta con la doppia porzione di lasagne, comperate il giorno prima, nella gastronomia sotto casa. Chiude il frigo e si dirige verso la porta d’ingresso. La apre e esce sul pianerottolo. Qui l’indecisione la fa fermare per un attimo, poi si fa coraggio e suona il campanello della sua vicina. La donna apred e Emma, tutto d’un fiato le dice “Scusa se ti disturbo, non voglio sembrarti invadente ma, questa sera non mi va proprio di cenare da sola. Ho due porzioni di lasagne, ti andrebbe di dividerle con me?” L’altra si riprende in fretta dalla sorpresa e risponde “ Mi stavo preparando un’insalata, aggiungo qualche foglia e la porto. Ho anche due fette di torta al vento, hai per caso il diabete?” ” Non ho il diabete, però, ho del budino alla vaniglia, che starà benissimo con la tua torta. Allora, lascio la porta aperta e ti aspetto”. Si volta, torna in cucina, apre un cassetto e prende la tovaglia ricamata, che non usava da anni. Le lasagne entrano nel forno a microonde, i piatti, le posate e i bicchieri sono a posto e nel frattempo sente chiudere le due porte e la voce della vicina le dice “Eccomi, posso entrare?” La fa sedere, le lasagne fumanti sono nei piatti, l’insalata è condita, torta e budino aspettano il loro turno, che chiedere di più. Emma prende il pentolino dal ripiano e lo mette via, seguita dallo sguardo sorridente della nuova amica. “Sai anch’io, ne uso uno uguale” Ma stasera no. Questa sera è diverso. Un sorriso un, buon appetito e le lasagne comprendono di essere apprezzate.

giovedì 1 dicembre 2011

VALENTINA E IDA

Du amighe in po' fantasiuse
in giurnu j àn decisu de sercà
a stra che au centru da terra
a j arisse purtà
In simma au Groppu da Rocca de Varsi
ina spece de caverna j an truvà
e sensa tantu stà a lei apensà
j en anà drentu e i sen incaminà.
J ummilavéna a strà con du lampadénne
ma j anavena pian cumme du lumaghénne.
Ogni passu i se fermavéna a parlà
i se contavéna i ricordi da vitta passà
Cusèi ciciarandu j en rivà a scuprì
Che i stessi posti e a stessa gente j an cugnisì.
In giru ne gh'era gnente de interessante
e u zainu u cuminciava a ésse pesante.
Alura setà in simma a in sassu ben squadrà
a mangià in bon panén i sen fermà.
Quande l'urulogio u gh'à dittu
che l'era vura de turnà j an pensà
che u centru da terra u pudiva spetà.
Tantu lu ina cosa impurtante j avéna capì
che in'amicisia veira e sincera a ne po'miga finì.

VALENTINA E IDA

Due amiche un po' fantasiose
un giorno hanno deciso di cercare
la strada che al centro della terra
le avrebbe portate.
In cima al Groppo della Rocca di Varsi
una specie di caverna hanno trovato
e senza stare lì a pensare
sono entrate e si sono incamminate
Illuminavano la strada con due lampadine
ma andavano piano come due lumachine.
Ogni passo si fermavano a parlare
si raccontavano ricordi della vita passata.
Così chiacchierando sono arrivate a scoprire
che gli stessi posti e le stesse persone avevano conosciuto.
In giro non c'era niente di interessante
e lo zaino cominciava a essere pesante.
Allora sedute su un sasso ben squadrato
a mangiare un buon panino si sono fermate.
Quando l'orologio ha detto che era ora di tornare hanno pensato
che il centro della terra poteva aspettare.
Tanto loro una cosa importante l'avevano capita
che un'amicizia vera e sincera non può finire.

mercoledì 23 novembre 2011

A PULENTA TIRA'


A mamma a destendiva a pulenta
in simma a u tavurén
condì con u sugu de salamén.
"Sa fijò a lavase el man."
E a nonna a spetava con u sugaman.
U nonnu e u papà
j erena zamò pronti per mangià
doppu che j avena passà
a giurnà a lavurà.
In signu de cruse, in grazie a u Signure
per a bonna senna
e a man pronta in simma alla fursénna.
In bel bucòn, in gussu de ven
e in biceru de latte per i fiurén.
Passa cuséi a seira in allegria
Intantu che in cielu
Lonna e stelle i se fan compagnia.
Doppu ina bonna notte bisbiglià
ina caressa, in basén e in'urasion
e j angeli i ghe destendivena sure
j are a prutesion


LA POLENTA TIRATA

La mamma stendeva la polenta sul tagliere
condita con il sugo di salamino.
"Su bambini a lavarsi le mani."
E la nonna aspettava con l'asciugamano.
Il nonno e il papà
erano già pronti per mangiare
dopo che avevano passato la giornata a lavorare.
Un segno di croce, un grazie al Signore
per la buona cena
e la mano pronta sulla forchetta.
Un bel boccone, un goccio di vino
e un bicchiere di latte per i bambini.
Passa così la sera in allegria
Intanto che in cielo
Luna e stelle si fanno compagnia.
Dopo una buona notte bisbigliata
una carezza, un bacio e un'orazione
e gli angeli vi stendevano sopra
le ali a protezione.

A capacità



"Nonnu perché el rondanenne quande i vùréna insemme
i ìgìréna, i s'incrùséna ma i ne se scontrena miga mai?"
"Perché u Signure u gh'à dattu custa capacità."
"Nonnu a mestra a scora l'à dittu
che in cielu con u su, a lonna, el stelle
gh'è anca tanti pianeti che j en sempre in muvimentu.
Ma perché i ne se scontrena miga mai?"
"Perché u Signure u gh'à dattu custa capacità."
"Nonnu a mestra l'à dittu anca
che i fiuri, i pra, el piante d'invernu i dormena
per dessedase in primaveira.
Ma cumme i fan a capì quande u mumentu l'è rivà?"
"Perché u Signure u gh'à dattu custa capacità."
"Nonnu perché ai pé du monumentu gh'è scrittu tanti nummi?"
"J en i nummi di suldà che j en morti in guerra."
"L'è ina cosa brutta a guerra l'è veira?"
"E sei l'è a cosa pussè brutta che ghe sia."
"Ma alura perché l'ommu u ne la capissa miga
u Signure u ne gh'à miga dattu a capacità?"
"E u ghe l'à datta, u ghe l'à datta u me picén
e u gh'à dattu anca l'intelligénsa
ma troppu spessu, purtroppu para propriu che u sia sensa."

LA CAPACITA'

"Nonno perché le rondini quando volano insieme
girano, si incrociano ma non si scontrano mai?"
"Perché il Signore ha dato loro questa capacità."
"Nonno la maestra a scuola ha detto
che in cielo con il sole, la luna, le stelle
ci sono tanti pianeti che sono sempre in movimento.
Ma perché non si scontrano mai?"
"Perché il Signore ha dato loro questa capacità."
"Nonno la maestra ha detto anche
che i fiori, i prati, le piante
d'inverno dormono per svegliarsi in primavera.
Ma come fanno a capire quando il momento è arrivato?"
"Perché il Signore ha dato loro questa capacità."
"Nonno perché ai piedi del monumento
ci sono scritti tanti nomi?"
"Sono i nomi dei soldati morti in guerra."
"E' una cosa brutta vero la guerra?"
"E sì è la cosa più brutta che ci sia."
"Ma allora perché l'uomo non la capisce.
Il signore non gli ha dato la capacità?"
" Gliela data, gliela data piccolo mio
e gli ha dato anche l'intelligenza
ma troppo spesso, purtroppo sembra proprio che sia senza."

domenica 20 novembre 2011

RIFLESSIONI -1965-

E' l'alba… L’alba del giorno dopo… Socchiudo gli occhi nella stanza nuova. Il chiarore filtra dalla tapparella non da crepe di scuri che il tempo ha segnato. Richiudo gli occhi e sorridendo immergo i pensieri nella nuova realtà. Ho una città da scoprire, nuove amicizie da incontrare. Esperienze da riempirne una vita. Lascio le coltri leggere, apro la finestra e una mano di ferro mi stringe il cuore. Dov'è il castello che da sempre mi dava il buongiorno? Dov'è la valle, il Ceno, il Pizzo D'Oca e la chiesetta sotto il diaspro rosso? Solo finestre di case allineate avvolte da nebbia che non conoscevo riempiono lo sguardo. E' questo il pegno che devo pagare per un cambiamento tanto voluto? Chiudo la finestra. Non ho voglia di guardare, ci vorrà del tempo per assimilare. E vi prego non ditemi maiche comunque, l'alba sorge sempre ovunque.

venerdì 18 novembre 2011

DRUSCO

Dove sono finite le voci dei bambini
che nei cortili acciottolati
correvano scalzi per fare tana.
Dove sono finite le vecchie
che sedute davanti all’uscio aperto
facevano la calza volgendo lo sguardo
a un ribollire lento, nel paiolo sopra il fuoco
e a un nipotino ancora da fasciare.
Mormorando sottovoce una preghiera.
Tornavano presto le madri dai campi
richiamate da un muggito rigonfio di latte.
Tornavano tardi i padri dai campi
che dura era la terra da dissodare.
Non si dice più il rosario fra le rose
ora è chiuso a chiave il portone della chiesa
e vicino, fiori gialli, fra alti steli verdi
ondeggiando cullano il riposo di chi è già stato.
Solo il silenzio qui è sovrano, velato appena
dal gorgogliar della fontana
e il ruscello in lontananza
amalgama la voce con il vento.
Mi allontano adagio accompagnata
dal cinguettio degli uccellini.
Guardiani rimasti a conservare
Voci, nenie e ricordi del passato
che se tendo l’orecchio sembro riascoltare.

sabato 12 novembre 2011

MADONNA SUL MONTE


Con l’aiuto di una mano amica
alla fine dell’aspro sentiero
sono giunta alla cima del monte.
Sono giunta da Te Madonnina azzurra
che dalla bianca nicchia pietrosa
sorvegli le valli profonde.
Volgo lo sguardo attorno
a cercare segni di chi
prima di me ti ha pregata.
Un mazzetto di fiori essiccato
un nome incerto inciso su pietra
una piccola croce di legno
che un filo d’erba sottile
s’ostina a tenere legata.
Un cero ormai consumato
e un piccolo cuore d’argento
a ricordo di un aiuto importante.
M’inginocchio e rimango a pregare
pensando alle cose
che vorrei chiedere per me.
Non voglio miracoli o ricchezze
vorrei solo poter mantenere
la forza e il coraggio
per vivere la mia disabilità.
Voglio solo poter continuare
ad avere …..la fede in Te.

venerdì 11 novembre 2011

PARCO D'AUTUNNO

Non ho malinconia oggi
attraversando il parco d'autunno.
Guardo i rami ormai spogli
candelabri rivolti al cielo
in silenziosa preghiera.
La nebbia accorcia l'orizzonte
Non giochi di bimbi
ne rinnovellare sulle panchine.
Piedi sconosciuti e sveltiti
mi sorpassano immersi
in pensieri che non conoscerò.
Ma io no, sento che oggi
la fretta non m'appartiene.
Cammino con passo leggero
per non disturbare, il sonno degli alberi.

giovedì 10 novembre 2011

PROFUMO DI ROSE

immagine di Irene Cappello

PROFUMO DI ROSE

Guardo i fiori appassiti
spenti, come un amore finito
e forte mi prende il desiderio
di tornare là, dove l’ aria
profuma sempre di rose .

mercoledì 9 novembre 2011

AUTUNNO IN VAL CENO

Risalgo l'amato sentiero
nell'autunno della Val Ceno.
Imprimo nella mente colori
che purtroppo non so fotografare.
M’avvio nel bosco e cammino
su tappeto di vita, già vissuta.
Non percepisco profumo di tristezze
è profumo di sonno meritato.
Mostra un riccio ridente di castagno
il frutto lucido e invitante.
Uno scoiattolo mi sfreccia vicino
s'arrampica sull’albero e scompare
portando scorte nel suo nido.
E' il tronco del faggio secolare
che m'invita al solito abbraccio.
Chissà se sentirà il mio calore
o già sarà immerso nel dolce dormire.
Io credo però che l'amore
penetri anche il sonno più profondo.
clicca sulla foto per far partire la galleria fotografica



venerdì 4 novembre 2011

PICCOLA “MAESTA’”

Percorrevo il ripido sentiero,
bimba ancora sognante,
nel bosco ombroso e profumato.
Giungevo, alla piccola “Maestà”,
bianca di calce sempre fresca.
Accarezzavo la Madonnina Azzurra,
aggiustavo i fiori e le raccontavo
del futuro che avrei voluto.
Mi sentivo protetta e sicura
in quell’angolo di meditazione.
Scendevo poi e, alla curva,
un ultimo sguardo volgevo
già colmo di nostalgia.
Non sono più tornata
a dire le mie preghiere,
altrove la vita mi ha portata.
Ho visto altre “Maestà”
e non per me ho pregato,
ma per persone care.
Non volgo più lo sguardo,
ma i ricordi sì
e sono colmi di nostalgia.

LA PRIMA FETTA DI PANE

Denis aveva cinque anni e non aveva mai conosciuto la sua mamma, perché era morta nel metterlo alla luce. Quando aveva cominciato a rendersi conto della mancanza di questa presenza, il babbo e la nonna gli avevano spiegato che la sua mamma era volata in paradiso, perché Dio aveva bisogno di lei. Non aveva mai compreso perché Dio avesse scelto proprio la sua mamma, ma ogni sera, prima di addormentarsi, pregava per lei. Nel piccolo gruppo di case dove abitava c'erano altre famiglie e altri bambini e la compagnia per i giochi non mancava mai. Erano giochi semplici, di bambini abituati alla libertà della vita in montagna, alla fine della prima metà del ‘900, quando ci si stava riprendendo da una tremenda guerra.

Denis era un bambino molto sensibile e il suo cuoricino si stringeva quando vedeva i suoi amichetti coccolati dalle loro mamme, che li vestivano e li pettinavano e curavano le ginocchia sbucciate con un bacio. La cosa, però, che più lo faceva soffrire, ma che non osava confidare a nessuno, era quando le mamme, dopo aver cotto e sfornato il pane, lo mettevano a far raffreddare e al momento giusto ne facevano fette fragranti, che davano ai bambini nel cortile. Anche Denis aveva la sua fetta di pane, ma non era mai la prima fetta distribuita, perché ogni mamma la riservava al proprio bambino. Nella sua mente immaginava che quella fetta dovesse avere un sapore speciale e non si rendeva conto che il suo inconscio aveva solo voglia del sapore di un gesto d’amore. Stava ormai giungendo la primavera e il papà di Denis decise che lo avrebbe accompagnato, per la prima volta, in paese, in occasione della fiera di San Giuseppe. Certo, c’erano due ore abbondanti di strada da percorrere a piedi, ma il bambino era robusto e i suoi piedini erano temprati dal correre scalzo nel cortile acciottolato. Così, quel mattino si misero in cammino di buon’ora. Per lui era tutta una scoperta di luoghi mai visti e di persone sconosciute che avevano la stessa meta. Una volta erano stati superati anche da una Balilla, che aveva sollevato un gran polverone, ma era stato bello comunque, dato che non aveva mai visto un’automobile. Infatti, vedeva solo, ogni mattina, un vecchio camion guidato dal capo del padre, che passava a prendere gli operai, tutti muratori. Aveva sentito dire che era un camion lasciato in Italia dagli americani alla fine della guerra e lui pensava che dovevano essere molto ricchi questi americani per non portarsi a casa quel camion, che a lui piaceva tanto.



A metà strada, mentre attraversavano un piccolo gruppo di case, vide una fontana con una grande vasca e chiese al padre se potevano fermarsi un poco per dissetarsi. Lì c’era una donna che stava riempiendo un secchio e, alla richiesta del bimbo di poter bere, lo invitò ad accomodarsi sotto al pergolato della sua casa, che era proprio di fronte, così gli avrebbe dato l’acqua con il bicchiere. Denis guardò il babbo e lo vide annuire. Si sedette, quindi, all’ombra su di una panca di legno. Nel frattempo la donna era entrata in casa ed era uscita con due bicchieri e una brocca. I due viandanti si dissetarono e Denis pensò che aveva veramente bisogno di quella sosta, perché non aveva mai camminato così tanto. Fissava la donna, giovane e molto carina, con uno sguardo dolce, che gli procurava una strana emozione. Sul tavolo, coperte da una tovaglia, si intravvedevano diverse micche di pane, sfornate da poco. La donna, che aveva detto di chiamarsi Lucia, interpretando il pensiero del bimbo, rientrò in casa e uscì con un coltello e un piatto con una formaggella. Prese una micca da sotto la tovaglia, ne tagliò alcune fette e porse la prima al bambino. Lui si sentì mancare il respiro: stava porgendo la prima fetta proprio a lui! Non gli sembrava vero. Incredulo, si volse verso il padre. Questi gli fece ancora una volta un cenno affermativo e lui allungò la manina e assaggiò quel pane. Era il più buono che avesse mai mangiato. Lucia gli offrì anche una fetta di formaggio, ma lui fece segno di no. Ora voleva solo godersi quel sapore così speciale, senza comprender che era stato quel semplice gesto a renderlo tale. Era giunto, però, il momento di rimettersi in cammino. Raccomandando loro di fermarsi al ritorno, Lucia lo abbracciò e lo baciò su entrambe le guance. Finalmente giunsero in paese e la fiera lo accolse con un mondo di novità. Il babbo gli comperò pantaloni e scarpe e anche qualche piccolo giocattolo. Qui incontrarono il capo muratore, che, dato che avrebbe fatto la stessa strada, offrì un passaggio, accettato di buon grado. Le emozioni erano state tante e anche la stanchezza ci mise del suo, così quando il camion passò davanti alla casa di Lucia il sonno aveva già chiuso quegli occhi di innocente. A casa venne messo a letto e si risvegliò il mattino seguente, con la mente colma di meravigliose cose da raccontare agli amichetti. L’unico cruccio era di non aver rivisto Lucia e alla sera, al ritorno del padre dal lavoro, chiese se qualche volta potevano andare a trovarla. Il padre rispose che lo avrebbe accontentato, ma non subito, perché i muratori, durante la bella stagione, devono lavorare molto. Dopo un paio di settimane il babbo portò a casa una bicicletta. Era usata, ma lui la lucidò bene e a Denis parve bellissima. Giunse la domenica e al pomeriggio il papà disse che doveva andare a vedere un lavoro da eseguire in fretta e, inforcata la bicicletta, partì. Tornò a sera. La cosa si ripeté tutte le domeniche e Denis pensava che il suo babbo era veramente un bravo operaio, dato che andava a fare sempre contratti nuovi e, quando tornava a casa, era felice. Passò l’estate e con l’autunno le giornate cominciarono ad accorciarsi. Il papà nelle domeniche di pioggia partiva a piedi. Denis ogni tanto parlava di Lucia, ma non aveva il coraggio di chiedere di poterla rivedere.

Si avvicinava ormai il tredici Dicembre, con la festa di Santa Lucia, attesa con ansia da tutti i bambini, perché portava loro dei doni. Gli amichetti del cortile parlavano continuamente di quello che avrebbero voluto trovare al mattino nella scarpa. Lui, quando sentiva il nome di Lucia, pensava al dolce sguardo della donna che portava questo nome. Chissà se e quando avrebbe potuto rivederla! Il mattino del tredici Dicembre la nonna lo svegliò di buon’ora. Lui corse a guardare nella scarpa e non vi trovò nulla. Il visino si rattristò, ma il papà e la nonna lo avvertirono che il suo regalo lo avrebbe avuto più tardi. Fu poi aiutato ad indossare pantaloni, maglioncino, scarponcini nuovi e un paltoncino color cammello, che lo facevano sembrare un principino. Era dunque questo il suo regalo? Ancora una volta gli fu risposto di no. Anche nonna e papà si vestirono in modo molto elegante e i suoi pensieri si confondevano sempre di più. Venne distolto da un clacson, aprì l’uscio e vide una Balilla, guidata da un signore sconosciuto e, con sua grande sorpresa, vi si trovò seduto con la sua famiglia. Ecco, era questo il suo regalo? Ancora una volta gli fu risposto di no. Finalmente l’auto si fermò, scesero tutti e Denis vide che erano di fronte ad una chiesa, che lui non aveva mai visto. Il padre lo prese per mano e insieme entrarono nel luogo sacro, da dove proveniva un suono di organo. Varcato il portone, restò impietrito. Davanti all’altare, vestita in modo elegantissimo, c’era la sua Lucia. Fu accompagnato da lei e si ritrovò stretto fra le sue braccia, con il viso coperto di baci. Lucia poi tolse un fiore dal mazzo che teneva in mano e lo mise nell’asola del bavero del paltoncino e poi fu fatto sedere nella prima panca. Al piccino sembrava di vivere in un sogno, ma quando sentì il padre e Lucia pronunciare “sì”, di fronte al prete, ebbe la certezza che in futuro avrebbe anche lui avuto, sempre, la sua prima fetta di pane e tanti bacetti sulle ginocchia sbucciate.

(Valentina Selene Medici)

LE SCARPETTE CON LA PUNTA QUADRATA

Eleonora (la chiameremo così per motivi di privacy, come dicono gli Inglesi) era una bambina buona e tranquilla per indole ed educazione. Viveva con mamma, papà e una sorella, in un graziosissimo paese, dal quale si poteva ammirare l’ampia valle del Ceno, la corona dei monti attorno e dove gli abitanti si sentivano protetti da un possente castello. Amava sentire raccontare favole, le piaceva la musica e s’incantava ad ascoltare, quando alla radio sentiva cantare Amalia Rodriguez, che interpretava il fado in modo magistrale. La famiglia di Eleonora non era né ricca, né povera. Il padre aveva un lavoro ed uno stipendio sicuro, ma le spese dovevano comunque essere valutate con oculatezza. I giocattoli erano pochi e anche i vestiti, anche se tenuti sempre in perfetto ordine dalla mamma, non erano certo abbondanti. In quel periodo ad Eleonora erano state comperate delle pantofoline rosse, con il cinturino alla bebè e la punta un poco squadrata. Appena indossate, la bambina si era alzata sulla punta dei piedi e aveva cominciato a piroettare intorno al tavolo della cucina, come fosse una ballerina di danza classica. Chissà come poteva conoscere questi movimenti, visto che all’epoca la televisione non c’era, neppure nel bar del paese. Forse qualcuno gliene aveva parlato, oppure aveva visto qualche immagine sulla Domenica del Corriere, rivista che il padre comperava settimanalmente. In quegli anni le case erano riscaldate con la legna e i genitori della bimba andavano, quando la stagione lo permetteva e come facevano molte altre persone, a far legna, nel greto del torrente. Raccoglievano i vari rami, che erano scesi con la corrente durante l’inverno. Ne facevano fascine, che poi, portate a casa e messe al coperto, sarebbero state usate per accendere il fuoco nella stufa economica, che serviva sia per riscaldare la cucina, che per cuocere i cibi. E quante buone polente si sarebbero cotte su quelle fiamme e quante torte di patate, di verza, di riso, di erbette e anche dolci nei giorni di festa, sarebbero uscite dal forno di quella stufa. Questi, accompagnati anche da pane e formaggio, erano i cibi, che nutrivano la famiglia nei giorni che passavano, appunto, sul greto del torrente. Per le bimbe la mamma preparava anche grandi fette di pane con olio, sale e pomodoro fresco, che venivano divorate con giovanile appetito.

Alle due sorelline piacevano molto queste uscite, perché potevano passare tutto il giorno giocando con la sabbia e nell’acqua bassa e limpida dove cercavano, inutilmente, di prendere con le mani piccoli pesci che guizzavano fra sassi levigati e dilavati dallo scorrere perenne del torrente.

Lungo il greto pascolavano, in cerca di ciuffi d’erba, anche alcune mucche. Ad Eleonora non piacevano molto e ne aveva anche timore. Erano talmente grosse e poi quelle corna appuntite non le ispiravano nulla di piacevole, quindi cercava sempre di starne il più lontano possibile. Anche in quella splendida giornata, le due bambine avevano giocato a lungo con la sabbia, poi, chiesto il permesso ai genitori, erano entrate nell’acqua, dopo aver lasciato i vestiti e le scarpe (Eleonora aveva le sue scarpette rosse) all’ombra di un salice. Stavano scherzando allegramente, quando videro le mucche, avvicinarsi al salice ed Eleonora s’accorse, con grande sgomento, che una di loro aveva preso in bocca una delle sue scarpette e la stava masticando. Cominciò ad urlare disperatamente, senza avere il coraggio di uscire dall’acqua, bloccata dalla paura e dal dolore. I genitori accorsero prontamente e il papà riuscì ad allontanare gli animali e togliere la scarpina dalla bocca della mucca. Purtroppo, però, era irrimediabilmente rovinata e ci volle molto tempo per frenare quelle lacrime. Il torrente le accoglieva e le portava via in fretta, quasi volesse contribuire a calmare quell’immenso dispiacere. Si calmò solo quando le venne fatta la promessa che le avrebbero comperato delle altre scarpette uguali. Era felice e triste allo stesso tempo, perché da bambina sensibile, qual era, sapeva che sarebbe stata una spesa imprevista. Il giorno dopo, però, un altro dispiacere l’attendeva nel negozio, perché il negoziante disse che non aveva più quel modello e che di scarpette simili non se ne trovavano più neppure nei magazzini. Le comperarono, quindi, un altro modello. Erano rosse anche quelle, avevano il cinturino alla bebè, ma la punta normale e arrotondata. Rimase in silenzio, dato che era troppo educata per mettersi a piangere nel negozio, ma, giunta a casa, le indossò subito e cercò di alzarsi sulle punte. Non ci riuscì, perché la nuova calzatura era inadatta. Allora sì che le lacrime ricominciarono a sgorgare dai suoi occhi. Piangeva in silenzio: era come se il suo sogno di ballerina si fosse infranto per sempre e ancora non sapeva che ben altre e più gravi difficoltà avrebbero infranto

altri sogni e speranze.

Ora Eleonora è una signora di mezza età. Ama ancora le favole, la musica e il fado di Amalia Rodriguez. Non ha potuto avere (e trasmettere) emozioni da un palcoscenico, danzando con scarpette dalla punta squadrata. Ora le emozioni provate cerca di trasmetterle attraverso le parole, che, con l’aiuto di un computer amico, sua guida attraverso la nebbia da anni posatasi sui suoi occhi, lei riesce ad imprimere su bianchi fogli accoglienti.

(Valentina Selene Medici)

CAMINITO

Caminito cubierto de cardos.- Sono le parole del celebre tango, che mi ritrovo a canticchiare sommessamente, imboccando lo stretto sentiero, che curva dopo curva, sale fino alla piccola cappella. Mi guardo attorno. Il panorama è meraviglioso. Non lo ricordavo così; forse allora, vedendolo continuamente, lo davo per scontato, senza fare caso ai particolari. Un gruppo di asinelli sta pascolando nel prato. Mi fermo ad osservarli e il più piccolo si avvicina guardandomi con occhi grandi e dolci. Preme il muso contro il mio fianco cercando carezze. Apro il marsupio, prendo un pacchetto di crackers ed ecco, mi sono conquistata un amico. Saliamo insieme e il pacchetto man mano si svuota. Quanti anni sono passati! Quaranta, una mezza vita. Era il 15 Agosto, quell'ultima volta. Vent'anni e una vita ancora da scoprire. C'era sagra quel giorno, che ricorda la Vergine Maria. Eravamo il solito gruppo di amici e amiche. Avevamo mangiato nel prato, dopo aver ascoltato la Santa Messa davanti ad un altare improvvisato, sotto ai grandi faggi. Avevamo riso, scherzato e cantato mentre mangiavamo il cibo portato da casa e poi c’eravamo sdraiati sull’erba, con quella voglia di far niente. Bruno, sottovoce, mi aveva invitata ad andare con lui proprio in quel sentiero, così tanto per fare una passeggiata. Lo avevo seguito perché adoravo camminare e poi volevo salutare la Madonnina, che sembrava attendere i viandanti là in alto. Il sentiero era ripido ma non per noi con gambe allenate alla montagna. Intorno alla cappellina c'era un muretto e lì c'eravamo fermati per riposare. Bruno mi aveva preso le mani e mi aveva dichiarato il suo amore, mentre un asinello ci guardava con curiosità. Mi ero lasciata baciare e il cuore aveva cominciato a fare capriole ma nonostante l'emozione provata, lo avevo allontanato. Non potevo ascoltare i sentimenti. Non allora. Il giorno dopo mi sarei trasferita in città con i miei genitori. Avevano trovato un lavoro di portierato in un prestigioso palazzo del centro, abitato da dottori, avvocati e architetti. Intorno c'era un grande giardino, che avremmo dovuto curare, oltre naturalmente alle pulizie di scale, ascensori e incombenze varie. Là, la vita sarebbe totalmente cambiata. Avrei vissuto a contatto con persone ricche e

importanti. Ero giovane e molto bella e senz'altro uno di loro si sarebbe innamorato di me, chiedendomi di sposarlo. Avrei fatto la vita da signora di città, non la vita di moglie di un fabbro di un piccolo paese nascosto fra i boschi. Naturalmente non dissi tutto questo al giovane che mi guardava con occhi innamorati. Dissi solo che non volevo impegnarmi data la prossima lontananza e poi per lui provavo solo una profonda amicizia. I suoi occhi si erano riempiti di dolore e io mi ero morsicata le labbra per non dirgli che era solo l'ambizione che mi fermava. Povera illusa! Nessun inquilino si era innamorato di me. Per loro ero solo la figlia dei portinai e i soli inviti che mi facevano erano per chiedermi se ero disposta a fare le pulizie anche nei loro appartamenti o per stirare montagne di camicie. Al quinto piano abitava un'anziana baronessa, che mi aveva presa in simpatia. Mi chiamava per farle compagnia e mi chiedeva di leggerle qualche libro, delle centinaia, che aveva nella libreria del suo studio, arredato con mobili antichi e, in stile francese. Leggendo mi ero fatta una discreta cultura e la signora mi aveva insegnato anche ad usare la macchina da scrivere. Ma era molto anziana e dopo qualche anno aveva lasciato questo mondo, tranquillamente, mentre dormiva. A funerali avvenuti, ero stata invitata nello studio dell'avvocato del terzo piano e qui avevo appreso che la baronessa mi aveva lasciato in eredità qualche parure di gioielli e una piccola somma di denaro, che su consiglio dei miei genitori, depositai in banca, per una sicurezza futura. Gli anni passavano, qualche giovane dei dintorni aveva tentato di corteggiarmi, ottenendo solo un rifiuto. Non capivo questa freddezza. Era solo perché ancora speravo in un marito ricco o era il ricordo di quell'unico bacio sotto lo sguardo di un asinello?

Ero quasi arrivata. Dopo quell’ultima curva avrei visto la cappellina e avrei potuto rilassarmi e pensare in totale solitudine. In tutti quegli anni non ero più ritornata neppure a vedere la nostra casetta giù in paese. Solo i miei genitori erano venuti un paio di volte e avevano lasciato le chiavi in custodia alla Maria, una gentile vicina, che però si era spenta da qualche mese. Dopo molti anni, i miei cari ormai anziani avevano lasciato il lavoro nel palazzo e ci

eravamo trasferiti in un grazioso appartamento acquistato con grandi sacrifici ma ben presto anche per loro era venuto il tempo di chiudere gli occhi. Io avevo trovato lavoro come commessa responsabile in un grande negozio di abbigliamento e da un mese ero andata in pensione. Erano state quindi queste circostanze a farmi decidere per quel ritorno. Volevo fare qualche foto alla vecchia casa per affidarne la vendita ad un’Agenzia Immobiliare. Certo non ne avrei ricavato molto perché dopo così tanti anni l’avrei trovata in uno stato precario, ma tanto valeva provare. C’era sempre qualche cittadino desideroso di pace e silenzio, che cercava una casa anche da ristrutturare. Eccomi finalmente, ma è un moto di stizza che provo. Seduto sul muretto c’è un uomo. Non è possibile, proprio lì doveva venire a sedersi? Comunque sono stanca e devo riposarmi, tanto vale approfittare del muretto. L’uomo al rumore dei miei passi si volta e un’espressione prima di stupore e poi di gioia, si alterna sul suo viso. Allunga le mani verso di me. “Rita! Sei proprio tu?”. “Bruno!” dico e le labbra mi tremano. Mi prende la mano e mi fa sedere. Mi sembra di rivivere la scena di quarant’anni fa, ma non è una dichiarazione d’amore, che esce dalle sue labbra, è un fiume di domande. “Sei proprio tu? Sei sempre bellissima. Raccontami tutto di te. Come mai sei ritornata?”. Parla e parla ma lo sguardo è fisso sugli anelli che ho alle dita. Sono quelli della baronessa ma non c’è nessuna fede nuziale. “Non mi sono mai sposata e tu?” “Neanch’io.” Sorride perché l’asinello si è avvicinato a cercare coccole. “Devo scendere, si fa tardi”. Ci incamminiamo. Tolgo dal marsupio un altro pacchetto di crackers e l’asinello scende con noi, fino al prato, dove raggiunge i suoi compagni. Ci voltiamo per salutarlo e scoppiamo a ridere perché ci siamo messi a canticchiare all’unisono “Caminito cubierto de cardos, che il tiempo...”. Saliamo sulle nostre auto e dopo una decina di minuti ci fermiamo davanti alla casa. Non ho il coraggio di guardarla. In quarant’anni il tempo si sarà divertito a consumarla. Scendo e rimango a bocca aperta. L’alto zoccolo intorno e lo stipite della porta sono freschi di calce. I ganci degli scuri sono nuovi, in ferro battuto. Guardo Bruno con aria interrogativa. “Mi sono permesso di fare qualche lavoretto.” “Perché non mi hai cercata, ti avrei mandato i soldi delle spese”. I suoi occhi si rattristano. “Così mi offendi. Mi spiaceva vederla rovinarsi e l’ho fatto nel tempo libero. Per me era un passatempo, non pensavo te ne avessi a male”. “No scusa, è stata la sorpresa a farmi parlare così e ti sono riconoscente di tutto questo”. Apro la porta, le stanze sono vuote. I pochi mobili erano stati regalati dai miei genitori ad una famiglia bisognosa ma, le pareti sono imbiancate. “Ho dato solo una passata di tempera” dice Bruno e poi “Ma ora che cosa hai intenzione di fare? Ritorni a vivere qui?”. “Sinceramente non lo so. Ero venuta con l’intenzione di fare foto per metterla in vendita ma ora sono piuttosto confusa e devo pensarci meglio. Devo andare, si fa tardi e ho centocinquanta Km. di strada che mi aspettano. Mi serviranno per pensare. Mi aiuteranno a prendere la decisione giusta”. Usciamo, chiudo la porta, mi avvicino all’auto e allungo la mano per salutare. Bruno la stringe forte. Ho un desiderio pazzo di abbracciarlo. Chissà se anche lui prova la stessa cosa. Faccio due passi, poi mi volto, mi alzo sulla punta dei piedi e gli do un leggerissimo bacio sulle labbra e il cuore fa un balzo da fare invidia a un canguro. Salgo in auto velocemente, metto in moto e parto. Dopo qualche metro do un piccolo colpo di clacson e nello specchietto retrovisore, vedo Bruno che mi manda un bacio con la mano.

(Valentina Selene Medici)

Tempo

Mi sfugge il tempo dalle mani
come sabbia che cade
da un setaccio scosso in fretta.
Poter ritornare alle sere
dove voci antiche raccontavano
nelle lunghe ore di veglia.
Ritornare col sapere di oggi
per vivere in modo diverso.
Per non avere naufragi
e ritrovarti in balia delle onde
abbandonata poi solitario relitto
che a fatica dovrai restaurare.
Dove sono le fiabe di un tempo
che non ti parlano di principi diversi
che nella vita non ti proteggeranno
nella dura realtà quotidiana.
Raccontiamoci allora odierne fiabe
dove donne combattono sole
Stringendo forte le mani
perché il tempo che ancora rimane
scenda adagio senza graffiare le dita.

Dedicato alla tartaruga di Rosanna Lecce.

Non ho mai visto (tenendo conto di quanto poco io vedo, ma se a qualcuno è capitato di vederla, è pregato di farmelo sapere) una tartaruga nel presepio. A me le tartarughe piacciono molto. Mi ispirano tenerezza e mi trasmettono il dono della pazienza che ritengo essere, nella vita, dote importante.
Un giorno d'estate ero sulla sedia a sdraio, all'ombra di un pergolato di passiflora, nel mio giardino, quando ho visto avvicinarsi alla rete, a maglie larghe, che mi separa dal mio vicino, un simpatico musino. Era quello di Valentina, una tartarughina (Io la chiamo con il mio stesso nome per due ragioni: perché lei veramente... va-lentina e perché, rifacendomi al latino, valens valentis, fa capire che vale. Mi riferisco, naturalmente, solo a lei). Era abituata a farmi visita, perché sapeva di trovare sempre qualche pezzetto di mela, della quale era molto golosa. Era proprio in quel pomeriggio che pensavo, anche se era ancora lontano, al Santo Natale. Non amo il consumismo, che oggi viene abbinato a questa festività, ma il presepe mi fa tornare ai veri valori appresi da bambina. Così, mentre porgevo il pezzetto di frutta, mi ritrovai a chiedere alla mia ospite se sapeva qualche cosa su questa assenza. Dopo tutto non era certamente la prima volta, che facevamo lunghe chiacchierate su vari argomenti. Lei inghiottì il bocconcino, mi guardò pensosa per qualche momento, poi nei suoi dolci occhi si accese una luce. “Sì, sì, ricordo una cosa, che ci è stata tramandata da una mia bis, bis, bis … nonna. Effettivamente, quando nel cielo era apparsa la stella cometa, molta gente si era messa in cammino per andare ad adorare quel Bambinello. C’erano naturalmente i cammelli, i pastori portavano agnelli e i contadini, in dono, galline e conigli. Anche lei si era messa in cammino, ma, nonostante le sue preghiere, nessuno l’aveva presa in braccio per aiutarla. Così quando giunse, la Sacra Famigliola se n’era già andata e ognuno stava ritornando al proprio luogo di provenienza. Sapeva che, se Dio l’aveva creata così lenta, aveva i suoi buoni motivi e non doveva certo essere lei a lagnarsi. Questo desiderio inappagato era rimasto però nel profondo di ognuna di loro”. Aggiunse che una volta aveva sognato di essere anche lei insieme agli altri animali ad adorare Gesù, ma, al risveglio, era rimasto solo il desiderio. In quel momento un’idea cominciò a farsi strada nella mia mente e le dissi.”Ti prometto che un giorno anche tu potrai avere un presepio, col Bambinello, a tua disposizione“. Nel suo sguardo c’erano sorpresa, speranza, ma anche incredulità. Girò adagio su se stessa e lentamente andò a mettersi all’ombra di un cespuglio di rose. Bene! Avevo fatto una promessa e dovevo mantenerla. Il giorno dopo chiamai gli operai. C’era già nel giardino, sotto al pergolato, una nicchia, con la statua di una Madonnina. Bastava solo fare qualche modifica e il gioco era fatto. In breve tempo il lavoro venne completato ed ora dovevo mettermi all’opera. Non potevo aspettare il Natale. In quei giorni, Valentina dormiva nella sua tana, ma quello che contava era l’intenzione. Nella base della nicchia, preparai un presepio. Era piccolo, ma c’erano la Madonna, San Giuseppe, il Bambinello, il bue, l’asinello e qualche pastore con relativi animali. A quel punto chiamai Valentina, sollevai un poco la rete, tanto lo avevamo fatto altre volte, e le dissi: “Ora ti prendo in braccio, tu chiudi gli occhi e aprili solo quando lo dirò io. C’è una sorpresa per te”. Lasciò fare e quando la depositai delicatamente davanti al presepio e le dissi di guardare, il suo stupore mi appagò completamente. Sapevamo entrambe che eravamo di fronte solo ad un simbolo, non al fatto di 2000 anni prima. Ma quando un simbolo porta amore e bontà nel cuore è ben accetto. Vi assicuro che la tartarughina era emozionata e rimase a lungo ad ammirare l’insieme; poi sussurrò: “Ora posso dire che ho realizzato il desiderio della mia ava. Peccato che questa gioia, magari, non si ripeterà più”. “Eh, no, amica mia! Questo presepio resterà qui per sempre e potrai venire quando vorrai”. Avvicinò la sua testolina alla mia mano, per cercare una carezza. Poi fece dietrofront e si incamminò verso il solito cespuglio di rose, felice come non mai. La guardai allontanarsi e vi garantisco che il suo passo era più veloce. Potere della gioia.
(Valentina Selene Medici)

giovedì 3 novembre 2011

Tempo


Mi sfugge il tempo dalle mani
come sabbia che cade
da un setaccio scosso in fretta.
Poter ritornare alle sere
dove voci antiche raccontavano
nelle lunghe ore di veglia.
Ritornare col sapere di oggi
per vivere in modo diverso.
Per non avere naufragi
e ritrovarti in balia delle onde
abbandonata poi solitario relitto
che a fatica dovrai restaurare.
Dove sono le fiabe di un tempo
che non ti parlano di principi diversi
che nella vita non ti proteggeranno
nella dura realtà quotidiana.
Raccontiamoci allora odierne fiabe
dove donne combattono sole
Stringendo forte le mani
perché il tempo che ancora rimane
scenda adagio senza graffiare le dita.

mercoledì 2 novembre 2011

LA LEGGENDA DEI TRE ALBERI




La strada, che attraversando il bosco di faggi e castagni, porta fino ai cancelli da dove in breve tempo si giunge alla cima del monte, dove un’alta Croce benedice le valli attorno, negli ultimi anni, nei tratti più ripidi è stata asfaltata, per rendere più agevole il transito de i vari amanti dei picnic e del trekking. Il monte è meraviglioso, con ampi prati soffici, dove cavalli in libertà pascolano tranquilli, concedendosi qualche galoppata e che non disdegnano di venire a mangiare da una mano tesa, un pezzo di pane con fresche sorgenti di acqua dal sapore di neve sciolta, ben lungi da quello che esce dai rubinetti delle case di città. Nei sentieri più nascosti ci sono grosse pietre squadrate ricoperte da muschio, di un verde profondo, che richiama alla mente, voglia di presepio. Di alberi ce ne sono di tutte le età e nessuno forse si attarda ad osservarne le varie forme. Se qualcuno però ponesse attenzione, si accorgerebbe di un grosso albero, a lato della strada. Ha il grosso tronco, squarciato dall'alto in basso ma non è morto, perché i rami che si ergono verso il cielo, come braccia, che chiedono aiuto, ad ogni primavera si coprono di verdi foglie. Proseguendo lungo la strada, si giunge ad una radura, dove una fontanella, con una piccola vasca, invita alla sosta. Da qui parte un sentiero segnato ora da orme di cavalli e da cingoli di trattori. Dopo una decina di minuti di cammino, alla destra si può ammirare un laghetto, circondato da arbusti di felce, dove le raganelle la fanno da padrone e al minimo rumore di passi si tuffano nell'acqua, creando piccole onde, che vanno a infrangersi sulle sponde basse e erbose. Il sentiero si divide in due, proseguendo si entra nel folto del bosco, invece seguendo il tracciato di destra, dopo una breve salita, si giunge in una radura, con una decina di alberi secolari messi quasi in cerchio. Entrando, sulla sinistra si vede un albero dalla forma strana. Sembra il corpo di una donna. Il tronco, nella parte inferiore, si divide, come fossero due gambe in posizione di fuga e salendo ricorda le rotondità femminee. Uno dei grossi alberi, invece, guardandolo con attenzione prende le sembianze di un grosso cane San Bernardo. Intorno si scorgono segni di scavi, dove resti di costruzioni, che si pensa siano di un’antichissima fortificazione, affiorano tra arbusti e faggi. Questi alberi già da tempo avevano attirato la mia curiosità e attivata la mia fantasia ma la cosa si fermava lì. Un giorno, mentre, seduta su una grossa pietra, mi stavo riposando dalla lunga camminata, nei sentieri ricchi di creste ma anche di rovi con succose more, si avvicinò un anziano montanaro, che abitava nella casa appena fuori dal bosco. Cominciammo a parlare della suggestione di quella radura, delle tante leggende che la riguardavano e della stranezza dei tre alberi. Lui rimase pensieroso per qualche momento, poi mi disse che, a proposito degli alberi, era a conoscenza di una leggenda, che veniva tramandata da secoli e che, se ero disposta ad ascoltarlo senza spaventarmi, l’avrebbe raccontata. Io non aspettavo altro e mi misi comoda, pendendo dalle sue labbra. Disse che appunto tanti, tanti secoli prima, in quel luogo sorgeva un villaggio, abitato da boscaioli e da contadini, che lavoravano la terra intorno. Era un popolo tranquillo ma era il tempo in cui maghi, fattucchiere e streghe la facevano da padroni. Così, un brutto giorno, non si conosce bene per quale motivo, dopo un tremendo temporale con tuoni, fulmini e trombe d’aria, l’intero villaggio sprofondò e fu ricoperto da terra e acqua. Nessuno ne conobbe mai la causa, ma dopo tanti anni, quando le acque si ritirarono, formando solo un laghetto e dalla terra affiorarono parti di antiche mura, alcuni curiosi cominciarono ad andarvi a scavare, convinti di trovare chissà quale tesoro. Molti, però, scomparivano e non se ne avevano più notizie, altri invece venivano visti allontanarsi a gambe levate, con gli occhi colmi di terrore e nessuno riusciva a far loro dire che cosa li avesse spaventati a tal punto. Un giorno, giunsero da una città vicina, attirati da voglia di avventure, un giovane accompagnato da una ragazza e da un magnifico cane San Bernardo. Chiesero indicazioni per giungere nel luogo misterioso e con la spavalderia dei giovani, non si fermarono ad ascoltare, chi li consigliava di desistere dal progetto. Il cielo era terso e di un azzurro così profondo da sembrare dipinto. Nell’aria aleggiava profumo di terra umida e di viole e primule, che trapuntavano il sottobosco. Giunti nei pressi del laghetto, i ragazzi si concessero una breve sosta, mentre il cane si abbeverava, facendo così fuggire decine di raganelle. Quindi proseguirono e ben presto si trovarono nella radura. Si tolsero i grossi zaini, che avevano sulle spalle e appoggiarono sul terreno il piccone, che sarebbe servito per fare qualche scavo. Cominciarono a sondare il terreno, cercando il punto adatto per dare inizio al lavoro. Proprio al centro della radura il suolo sotto ai colpi del piccone, mandò un suono cupo e questo li convinse a fermarsi proprio lì. Il ragazzo si tolse la giacca e con le braccia robuste cominciò a scavare. Nel frattempo il cielo si era ricoperto di nubi, che sembravano diventare sempre più minacciose ma la foga per chissà quale scoperta, non permetteva loro di accorgersene. Mentre il buco nel terreno si faceva sempre più profondo, un vento gelido e impetuoso, iniziò a fare volare foglie, in un turbinio inquietante. Il grosso cane dava segni di paura e si mise ad abbaiare furiosamente. Neppure quello li distolse perché proprio in quel momento il piccone battè contro una superficie metallica. I due non stavano più nella pelle per la gioia, pensando di avere trovato chissà quale tesoro. Incuranti del vento, della pioggia, che cadeva a raffiche, dei lampi e dei tuoni, si affrettarono a scoprire quella specie di cassaforte, aiutandosi anche con le mani per toglier la terra più in fretta. Il cane, percependo il pericolo, con quel sesto senso, che distingue gli animali, tentò, tirandoli per i vestiti, di convincerli ad allontanarsi, ma loro in preda ad una frenesia irrefrenabile lo scacciarono e con grande sforzo, riuscirono a sollevare il coperchio. Cosa accadde in quel momento lo si può soltanto immaginare. Probabilmente forze maligne rimaste rinchiuse per secoli, ritrovarono la libertà e si riversarono contro i loro liberatori. Il primo ad essere colpito fu il cane. Subito dopo fu la volta della ragazza, che rimase bloccata per sempre a pochi metri di distanza, in quella posa di fuga. Il giovane più robusto cominciò a correre per il bosco, con la consapevolezza, che se fosse riuscito a raggiungere la strada principale sarebbe stato in salvo. Finalmente al chiarore di un fulmine vide la terra battuta a non più di un metro di distanza. Il fiato gli mancava, le gambe cedevano e aveva il corpo sanguinante per i rovi, che lo avevano ferito. Rallentò solo un attimo, si volse e questo gli fu fatale, Un fulmine tremendo lo colpì proprio ad un passo dalla salvezza. Il vecchio montanaro smise di raccontare e mi guardò, cercando sul mio viso i sentimenti provocati dal racconto, Aveva lo sguardo di chi la sa lunga e non sapevo se quello che mi aveva narrato era veramente una leggenda tramandata o era solo una sua invenzione per prendersi gioco della mia curiosità. Non lo saprò mai, ma, ogni volta che faccio quel percorso, mi soffermo ad osservare i tre alberi e mi guardo bene dallo scavare il terreno. Preferisco godere della bellezza del luogo e magari un giorno incontrerò qualcuno che mi racconterà un’altra storia con fate e gnomi come protagonisti.
(Valentina Selene Medici)

lunedì 31 ottobre 2011

CASA NATIA



No! Vi prego, aspettate!
Fermate quei lunghi denti di ferro,
che devono distruggere
la mia casa natia.
Lasciate ch’io possa entrare
un’ultima volta.
Odore di vecchi mattoni,
di focolare spento, di camino,
che aspirava profumo di cibi,
che aspirava care voci scomparse.
Rinarrate fiabe, canti, pianti,
preghiere sommesse, ricordi
e sogni inespressi.
Lame di luce da crepe
di scuri che abbuiano la stanza,
caleidoscopi per polvere antica.
Ascolto il silenzio per carpire,
se ancora lontano lo conserva,
il mio primo vagito.
Apro gli scuri gementi,
esondazione improvvisa di luce
che cancella i ricordi.
Ma là, nell’angolo umido,
appare la piccola mensola e Lei,
Madonnina che regge il Bambino.
Diventano scrigno sicuro
le stupite, trepide mani.
Avanti ora, lunghi denti di ferro,
potete compiere il vostro lavoro.
Ora sì, ora che stringo sul cuore
Colei che un giorno, amorosa,
accolse il mio primo vagito.

RIFLESSIONE DI UNA FOGLIA.


Ricordo... Era primavera
Avevo voglia di vivere. Ho chiesto al mio albero, dov'era il mio posto e lui me lo ha indicato. Mi sono distesa al sole e lui mi ha colorata. Il vento gentile mi ha accarezzata. A volte dispettoso saggiava la mia forza ma, io ridendo restavo aggrappata al mio ramo. Ho visto albe chiare e rossi tramonti. Ho udito cinguettii e voci di bimbi. Ho avuto... Una vita felice... Ma è giunto l’autunno e con femminea vanità ho cambiato Look, mutando colore… Ora però sono stanca e vorrei solo dormire. Ho chiesto al vento di farmi adagiare ai piedi del mio albero perché... possa nutrirlo.

FANTASMA IN INTERNET


Son anà a fa in giru a Bardi e in tu castellu
ò incontrà u fantasma de Moruellu.
U m'à dittu che da so Soleste
u ne po' miga fa sensa ma dopu tantu tempu
u cumencia a mettesela in pasiensa.
Dopu tuttu u castellu l'è ina meraviglia
e con i bardesan u se senta in famiglia.
U panurama l'è da futugrafà
e in autunnu, in invernu, in primaveira e in istà
de culuri ghe n'è in quantità.
Chei a tecnologia l'è avanzà
e lu a navigà in internet l'à imparà.
Cusèi ina bella fantasma l'à cugnisì
e con a web cam i sen visti e sentì.
Quande se summa salutà
de dive ina cosa u m'à pregà.
Certu ogni don resterà in tu so postu
ma se qualche notte
nu vedì miga girà in tu castellu
ne sti miga subitu pensà
che l'è anà dalla fantasma a fa u munellu.

FANTASMA IN INTERNET

Sono andata a fare un giro a Bardi e nel castello
Ho incontrato il fantasma di Moroello.
Mi ha detto che della sua Soleste
non può fare senza ma dopo tanto tempo
comincia a mettersela in pazienza.
Dopo tutto il castello è una meraviglia
e con i bardigiani si sente in famiglia.
Il panorama è da fotografare
e in autunno, in inverno, in primavera e in estate
di colori ce ne sono in quantità.
Qui la tecnologia è avanzata
e lui a navigare in internet ha imparato.
Così una bella fantasma ha conosciuto
e con la web cam si sono visti e sentiti.
Quando ci siamo salutati
di dirvi una cosa mi ha pregato
Certo ognuno resterà nel suo posto
Ma se qualche notte
non lo vedete girare nel castello
non pensate subito
che con la fantasma è andato a fare il monello

giovedì 27 ottobre 2011

PIOGGIA NOTTURNA

Esce nella notte nel cortile
con il cuore rattrappito dal dolore.
Guarda su e prega Dio
di darle un segno
della sua presenza.

Piccole gocce all’ improvviso
sul suo viso si posano
come panacea trascendentale.

Resta ferma nell’abbraccio
della tiepida pioggia notturna.

SULLA VETTA DEL PELPI

Distesa sul prato
con rada erba d’altura
sentivo il calore della terra
abbracciare il mio corpo.
Il vento, impertinente
mi donava le sue carezze
ora dolci, ora irruenti
sussurrandomi complice
misteriose parole
regalandomi profumi lontani.
Poi svelto se ne andava
a rincorrere nuvole bianche.
D’improvviso tornò
sospingendo batuffoli soffici
quasi un invito a farmene
impalpabile coltre.
Il mio cuore anelò
il fermarsi del tempo
ma il rosso bagliore
che già pensava al riposo
mi convinse al ritorno.
Non mi voltai mai
neppure una volta
per non mutare il ricordo
ma mentre scendevo
il ripido sentiero
piangevo, lacrime mentali.

mercoledì 26 ottobre 2011

sogni


sogni
Ti ricordi ? C’era Maggio
nei tuoi sogni
il sole sulle labbra
e il futuro già stringevi
... nelle tue fresche mani.
Sembravi sfidare il mondo
pedalando allegramente
con i capelli sciolti
e gonne svolazzanti.
Ma i sogni sono fragili
come ali di farfalle
quelle che tanto amavi,
fiori volanti le chiamavi.
Ma i sogni si disperdono
come soffioni al vento,
lontano se ne andranno
ma altri fiori nasceranno.
Così dai sogni infranti
altri ne sorgeranno.
Lo sai che si può fare
e io so, che tu lo vuoi.

SOGNI FRA LE NUBI

Mattino….
Apro la finestra
per fare uscire
i sogni della notte.
Passeri in attesa
sulla balaustra
li raccolgono
con il becco.
Frullare di ali
e salgono leggeri
a deporli sulle nubi
loro naturale sede.

AMICA



E' vero cara amica hai ragione
con noi la sorte è stata dura
eppure solo un po' d'amore si chiedeva
... che ai sacrifici già eravamo avvezze.
Ed oggi che di tempo ne è passato
ci ritroviamo a fare conti
per sapere quanto la vita ci dovrebbe
ma la somma mai ci torna
perché il futuro è copia del passato.
Ci restano la fede, l'amicizia vera
che per sempre insieme condivideremo.

PIOGGIA NOTTURNA




Esce nella notte nel cortile
con il cuore rattrappito dal dolore.
Guarda su e prega Dio
... di darle un segno
della sua presenza.

Piccole gocce all’ improvviso
sul suo viso si posano
come panacea trascendentale.

Resta ferma nell’abbraccio
della tiepida pioggia notturna.