selenevalentina

martedì 22 luglio 2014

DOPO



Dopo...

Ancorafreme il piacere.
Ad occhi chiusi lo rivivi
e vorresti l'attimo fermare.
Dopo...
Già lui s'allontana.
Il dubbio riaffiora
se quel, ti amo, strozzato
fosse vero o uscito per caso
sull'onda di un vago momento.
Vorresti stringere certezze.
Vorresti negare distonie.
Vorresti, fosse il rosso delle labbra
traguardo anelato e finale.

CASETTA GIALLA




Un angelo, con ali di vento
accoglie i bimbi in paradiso.
"Dimmi dolce bimbo
perché sei venuto qui?"
Ero su un barcone
stretto alla mia mamma.
Sognavo un paese in pace
con scuole e libertà.
Sognavo, una casetta gialla
dove poter giocare.
Il mare era in tempesta
e l'acqua, troppo fredda."
"E tu bimba, con occhi di cielo?"
Andavo in aereo, con mamma e papà.
Parlano di un missile, ma io non so cos'è
e ancora sono stesa, in mezzo ai girasoli."
"Ma tu, sei troppo piccolo
non dovresti essere qui."
"Ero ancora in un grembo, sicuro e protetto.
Un terrorista, si è fatto esplodere
in mezzo ad un mercato.
Non ho vissuto il mondo.
Ma, se lì, chilo governa
non sa leggere, gli occhi di un bimbo
Allora, sto bene qui."

Antiche sonorità


Sulla spiaggia


Non fermarti sulla spiaggia
a contare granelli di sabbia.
Non costruire clessidre
per guardare, il tempo che scorre.
Non cercare nelle conchiglie
la voce di un lontano.
Sdraiati sulla rena
che Elio ti possa scaldare
tenendo, lo sguardo in avanti.
Cavalca l'onda che giunge
e spingila all'orizzonte.
Là, c'è il domani che aspetta
perché l'immobilismo
non sia, una costante.

PORTOFINO


venerdì 11 luglio 2014

GELOSIA



Languidamente distesa 
su alpestre morbidezza. 
La guardò e vide il sole su di lei. 
In Avvolgente caldo abbraccio
sulle lunghe gambe tornite
suventre, seno e braccia.
Ne fu geloso ma lei
aveva gli occhi chiusi
forse per non mostrare
l’intenso piacere.
Poi il vento scompigliò
i lunghi capelli biondi
sparsi sull’erba
e tutta la accarezzò.
Lo sentì mormorarle
sconosciute sommesse frasi
e ne fu geloso. 
Ma lei, aveva gli occhi chiusi
e le braccia s’abbandonarono.
La terra calda accoglieva
come dolce alcova
il corpo che si offriva.
E ancora ne fu geloso.
Avrebbe voluto essere
sole, vento,terra, per farla sua.
Lentamente s‘aprirono gli occhi.
Con gioia si tuffò
in quei laghi verdi accoglienti
e finalmente la sentì…. sua.


SEGNI DEL TEMPO


Da ricordi
di vita vissuta
sofferta o forse serena
sono i segni
lasciati dal tempo sul viso.
non cercare
davanti a uno specchio
di dare una data precisa
a un ricordo, magari rimosso
o nascosto, nell'intimo inconscio.
Importante, è che tu abbia vissuto.
Dato amore
e forse non ricevuto
da chi per te, era l'unico scopo.
Cullato o sorriso a un bambino.
Dato aiuto 
a chi una mano tendeva.
Lasciato un ricordo
a chi ha camminato con te.
Sarà lettura
come libro aperto
per chi ha occhi
che scrutano dentro.

Sguardo nel tempo


lunedì 30 giugno 2014

ALBERI SPOGLI


Alberi spogli 
come certi giorni
in cui inutile
sembra il presente.
Ti ritrovi a lottare
contro mulini a vento.
Un Don Chisciotte
senza la spada.
Dormono gli alberi
l'annuale sonno.
E tu oltre l'oggi
devi guardare.
Alberi spogli
Ma su sfondo azzurro
Che scaccia le nubi
e infonde speranza
a chi li ha tracciati.

venerdì 27 giugno 2014

Tramonto virtuale


A PIEDI NUDI



Nella penombra della sera estiva
a piedi nudi attraversa il cortile
e sulla panca, accanto a me si siede.
Novant'anni. Un guizzo negli occhi
una risata a mezza voce
e la luna, si ferma a guardare.
Da bimba, i calli ha formato
che le scarpe, erano lusso per pochi.
Ma ancora non ha perso il piacere
di sentire il calore della terra
che lento sale fino al cuore.
Piedi nudi per non fare rumore
nelle estati, che non scaldano più. 
Piedi nudi, per uscire nella notte
e farsi rubare un bacio d'amore.
Appare nell'ombra, il compagno di sempre
si ferma, la guarda e si toglie le scarpe.

venerdì 6 giugno 2014

Verbena



Giocare… Li sente in lontananza Verbena, quelle voci di bimbi, che stanno giocando, nel parco vicino Giocare… giocare… Quanto si era divertita da bambina, con le amichette… Bambole, pentolini, corse in bicicletta. Quando poi, aveva cominciato a frequentare le scuole medie, un altro gioco, era entrato nella sua vita e se ne era innamorata… Il Basket, le aveva fatto compagnia, per molti anni. Quando la palla entrava nel cesto, le sembrava, che le braccia diventassero ali. La facevano sentire leggera, leggera… Le braccia… quelle braccia, ora inservibili… Che cambiavano posizione, solo quando qualcuno, lo faceva per lei. Carla, le ripeteva in continuazione, che doveva avere speranza e fiducia nel futuro e nella scienza. Già la scienza… E perché non provare a dare un aiuto a questa benedetta scienza… Aveva sempre sentito dire, che a volte la volontà, fa fare progressi… E poi esistevano i neuroni specchio… Ecco… doveva trovare in internet, un programma, dove insegnavano movimenti di ginnastica, oppure guardare partite di basket e concentrarsi al massimo… Magari non sarebbe servito ma, avrebbe tenuto il cervello attivo. Doveva farlo, diverse volte al giorno… Sì… doveva giocare con la mente… Ecco, la decisione era presa… “Forza Verbena” si dice… fai vedere, quanti canestri riesci a fare…

AL VALLSER


2° posto nel Concorso di poesia Cittadella a Parma sez. dialetto parmigiano.
Premiazione 14 giugno 2014

La guèrda al nòn ‘na ragàsa e la ghe dmanda

- Non sit bon ‘d balèer al vallser ? -
- A gh’è mèl se son bon la me putén’na
l’aris balè dala sìra ala maten’na.-
- E con chi t’al balèv?-
- Al balèva con al ragàsi, fin che to nòna
l’è dventèda la me balarén’na. La tgnèva
in simma al me cor, intant che con al bras
ghe strichèva la vitta sotilén’na.-
-T’m’isign nòn ? Dil volti al pòl anca servir.-

In t’n’ètra ca un ragàs al guèrda so nòna
e dop al ghe dmanda. - Nòna, sit bon’na
èd balèr al vallser.- A ghe mèl se son bon’na
al balèva fin da ragàsa.- E con chi t’al balèv?-
-To nòn al me dzeva che s’era la so balarén’na.
Al me tgniva in simma al so cor, ntant 
che con al bras al me strichèva la vitta sotilen’na.-
- T’m’insign nòna, dil volti al pol anca servir.-

I ne s’conòsson miga ancorra mo stasìra
j én in discotéca a balèr sti ragàs e la mùzica tecno
la gh’fa zbàtor al gàmbi e i bras. 
Dop al dj acsì par scarsèr al mètta su un vallser
e al rèsta a guardèr. I stan férom i ragàs
in san miga coza fer. Dop vunna la dis.
- Mi al so balèr, da me nòn m’son fata insgèr.-
Gh’risponda un giòvvon. - Anca mi al so balèr
da me nòna m’son fat insgnèr.- I volèn in simma
ala pissta e lu al la tenna in simma al so cor
E al capissa ch’l’è la so balarén’na, intant
che con al bras al ghe strica la vitta sotilén’na.

mercoledì 28 maggio 2014

POESIA


Vorresti ritrovare quella bimba
che serena, nei prati correva.
Vorresti ritrovare quella bimba
che agli animali sapeva parlare.
Quella bimba che sulle punte danzava
e sognava, con le fiabe del padre.
Poi, si sono spezzate le punte
e il principe, così azzurro non era.
Hai preso la bimba e l'hai nascosta
nel profondo, dove ridere non poteva.
Poi un giorno, un disegno, hai tracciato 
e riaffiorare, hai fatto la bimba.
L'hai posta, dentro al tuo cuore
e parole per lei hai inventato.
Ti sostiene, ti parla, ti ascolta
ti aiuta a non essere sola.
Con lei, sai sfidare la vita
che qualcuno di te ha bisogno.
Non importa, se per alcuni, non ha nome
tu, l'hai sempre chiamata...poesia.


SERENATA

Dedico una serenata, a chi la accetta
perché accompagni i vostri giorni.
A voi la scelta di musica amata
che sia ciarda, bolero o valzer.
Che sia struggente, da emozionare.
che sia languida, in un dolce tango
o tarantella da ballare in gruppo.
Che sia un soffio leggero di vento
o un cinguettio in un nuovo nido.
Una musica di ninna nanna
o la canzone di un nonno alpino.
Che sia il pianto di un bimbo che nasce
o la cara voce, di chi non c'è più.
Che sia lo scorrere lento di un fiume
o il gorgoglio di una sorgente.
Che sia stormire di verdi fronde
o il silenzioso, cadere di neve.
In ogni cosa, puoi mettere note
a voi la scelta, che più vi piace
purchè sia dentro, al vostro cuore.


TREBBIATURA


Profumo nell'aria di torte nostrane
di riso, patate e anche di erbette.
Pancetta stagionata, con la riga rossa
conservata in cantina, per l'occasione.
Il sugo, borbotta pian piano
le tagliatelle, stanno aspettando.
Vociare di grandi e piccini
tutti pronti a dare una mano.
Là, al centro dell'aia, come regina
la trebbiatrice, già scalda il motore.
Grandi sacchi, con la bocca aperta
accolgono il cadere di chicchi preziosi.
Ampi gesti, per seminare
sperando, che coltre, fosse la neve 
e che il gelo, non bruciasse piantine.
Pane quotidiano è il risultato
dalla madia tolto e sul tavolo posto. 
Da femmineo gesto, la benedizione. .
Per diventare, cibo di Dio.
Polvere, sudore, cappello in testa
e labbra asciutte da bagnare.
che il mezzo vino rinfrescava.
Forza, che domani c’è un’altra aia.
Ricordi di un tempo passato.
Non computer, rete o TV
Comunicazione, era condivisione…






venerdì 21 marzo 2014

Mescolanza di gocce .



Stanotte la natura partecipe
sembra voglia farle compagnia.
Impalpabili, fredde gocce
di bianca spuma 
spinge il mare sul suo viso
a mescolarsi con le sue
lacrime reali
Manda allora il cielo
gocce dolci a lavare
il salato dal suo viso.
Guarda su e là nel profondo
dove s’aprono le nubi
le sorride la luna
che lei ora immagina
custode di affetti perduti.
S’asciuga il viso e
anche il mare, adagio
s’acquieta.

mercoledì 5 febbraio 2014

RIFLESSIONE LACUSTRE

Lacustre riflessioni d'alberi.
Alberi, che madre terra nutre
come bimbo, che vita dal seno sugge.
Ed io, che ancora parlavo al domani
con loro amalgamavo le mie riflessioni
mentre dolcemente un alito
abbozzava increspature leggére.
Poi un giorno chissà
forse il vento, il destino, non so
il lago fu tutto tempesta.
Torbida l'acqua cancellò, le mie riflessioni.
Immemori di me, sulla riva
ancora si riflettono gli alberi
ma io, più non parlo al domani
Fugge il tempo, senza scandire giorni.
opaco, , di fronte, è il lago.


CONTINUITA'




Mi sveglio in una notte d’estate

in una camera di un albergo di Spagna

già conosciuta dopo qualche tournée.

Musica di chitarre in lontananza

è una forza che il letto mi fa lasciare.

Apro i vetri della grande veranda

e la musica si fa incalzante.

Scendo i gradini che portano in spiaggia

mentre la luna mi guarda perplessa.

Alzo le braccia, ali verso il cielo

assecondo il flamenco che l’animo strugge.

Agili i piedi danzano nella sabbia

mentre onde mi bagnano le caviglie

pressante invito a seguirle.

Di sole l'acqua è ancora calda

m'inoltro, m'immergo... mi lascio morire...

Rinasco in un piccolo corpo di bimba

in una sterile sala da parto

di un continente dall’altra parte del globo

Musica di chitarre in sottofondo

che accompagna il mio primo vagito

Un fremito si irradia e tutta m’avvolge

e la danza già è dentro al mio corpo.




FLAMENCO




"Sei nata sorridente"

Era una frase, che Alejandra, si era sentita ripetere decine di volte, dai genitori e dai parenti. E' vero, il sorriso era una caratteristica, che mai l'aveva abbandonata. Aveva avuto una vita, spesso movimentata ma, serena e appagante. I genitori l'avevano adorata e colmata di quell'amore, di cui loro stessi erano colmi. Era nata in Spagna, figlia di

ballerini di flamenco, che per anni, si erano esibiti sempre insieme, in teatri di tutto il mondo. La musica del flamenco, era stata, la prima colonna sonora. Ascoltata nella culla e negli anni a venire, era diventata, la ragione di vita. Era bella Alejandra, Lunghi, ondulati capelli corvini e occhi neri, lucenti come stelle. I genitori, erano stati i suoi maestri e ben presto, aveva cominciato a calcare palcoscenici. Chi la guardava danzare, ne rimaneva folgorato. Non era molto alta ma leggera e sinuosa e quel suo alzare appena la larga gonna a balze, che metteva in evidenza i tichettanti tacchi, accendeva il fuoco in molte menti. La carriera l'aveva portata a visitare, le più interessanti città, dove spesso si tratteneva per scoprirne le opere d'arte. Amava ogni cosa bella, dai quadri, ai monumenti, alla variegata natura. Si incantava di fronte a corone di montagne e ai tramonti, che infuocavano il mare. Ma quando voleva un periodo di vero riposo, se ne andava in un piccolo albergo, in un paese nel sud della sua amata Spagna. Le riservavano sempre la stessa stanza. Non era il lusso, che la interessava, di quello non si era mai innamorata. Quello, di cui sentiva il bisogno e che qui riusciva a trovare, era la semplicità e il silenzio. La camera, aveva una porta finestra, che si apriva su una veranda, che d'inverno era chiusa da vetri, in modo da poter ammirare il mare. Dalla veranda, scendendo pochi gradini, ci si trovava direttamente su una piccola, tranquilla spiaggia. Il mare, era suo amico. L'accoglieva, l'abbracciava, la accarezzava e la sosteneva. Qui, ritrovava sempre il dialogo con se stessa. Quel dialogo, di cui aveva bisogno, prima di affrontare un'altra tourné. Aveva avuto molti corteggiatori ma il suo unico amore era il flamenco. Unico amore, fino a quando aveva conosciuto joachin. Grande ballerino anche lui e insieme avevano condiviso, serate e applausi. Nonostante l'amore, non aveva mai voluto suggellarlo con il matrimonio. Non ne aveva mai parlato con alcuno ma, sentiva da sempre dentro, una incertezza, come una premonizione per il suo futuro. Non comprendeva cosa fosse e quel timore latente, ogni tanto riaffiorava . Joachin, aveva accettato la sua decisione e le era sempre rimasto accanto, con tenerezza e fedeltà. Capiva quando doveva essere presente e quando doveva lasciarla libera di vivere i suoi momenti di raccoglimento. Era ormai sulla soglia dei quarant'anni. Non era certo la tranquillità finanziaria a preoccuparla e lei non aveva mai sperperato denaro in cose futili, preferiva, fare donazioni, per la ricerca di malattie rare. Faceva ancora qualche spettacolo perché la musica, le scorreva nelle vene ma erano solo singoli spettacoli o brevissime tournee. Ora il sogno, che voleva realizzare, era una scuola di danza. Avrebbe insegnato il flamenco alle bambine, cercando di trasmettere il fuoco, che scaldava le vene. Era agosto e ancora una volta era tornata nel solito albergo. Quella mattina, si era alzata tardi. La notte non era stata delle più tranquille e al risveglio si era ritrovata, con un piede e una mano formicolanti. "Posizione Sbagliata". Aveva pensato. Una doccia e il problema se ne andò. I giorni passavano pigri, fra bagni di mare e ore con un rilassante libro. A sera tardi, sentiva giungere da lontano, musica di chitarre e capitava, che quasi senza accorgersene, si trovasse a danzare da sola. Il miracolo, che la musica le dava, si rinnovava. Dopo qualche giorno, si era svegliata nuovamente con il formicolio, questa volta più forte, che aveva tardato a passare. "Una visita medica, non potrà certo farmi male. Meglio prendersi cura della propria salute" pensò sorridendo. Il dottore, che la conosceva da anni, la convinse a farsi ricoverare in clinica per qualche giorno. Era un consiglio con un tono, che non ammetteva repliche. I pochi giorni, diventarono un mese abbondante. Le analisi si susseguivano. TAC, risonanze magnetiche, scintigrafie totali e ogni genere di approfondimento. Poi un giorno, ecco la tremenda diagnosi... SLA... Alejandra, si sentì mancare le forze. Il neurologo spiegò, che la malattia, poteva anche essere a lenta evoluzione, anche se non vi erano certezze. Era giovane, non aveva altre patologie, poteva pensare positivo. Invece la malattia, fece di testa sua e il calvario, cominciò a fare sentire il suo peso. Joachin le stava accanto, cercando di infonderle speranza ma, lei percepiva, che non avrebbe retto a lungo la

situazione. Un giorno, gli fece capire, che non aveva obblighi e se voleva, poteva riprendere la sua vita, dedicata al flamenco. L’uomo, non se lo fece ripetere due volte. La salutò, giurando, che sarebbe bastato un suo squillo di telefono e lo avrebbe visto, correre al suo fianco. Quello squillo non giunse mai. Alejandra, meditò molto sul suo avvenire. Era perfettamente consapevole, che le forze l’avrebbero abbandonata e avrebbe avuto bisogno di continuo aiuto da persone e da macchinari per restare in vita. La cosa la sconvolgeva. Non accettava l’idea di diventare un vegetale. Con un notaio, preparò un testamento in cui lasciava scritto la volontà, di non avere mai un accanimento terapeutico. e di essere lasciata in mano, al decorso naturale. Era Agosto, ancora una volta e lei, era lì, sola, ancora una volta… E quella musica in lontananza… Il mare era un amico. Accompagnava i movimenti con le onde… La luna fremette ascoltando, un primo vagito, provenire, dall’altra parte del mondo.


FATA?....O……



“Nonna, raccontami una fiaba”. “Ma ora dovresti dormire”. “Lo so ma, non ho sonno e poi domani, non devo andare a scuola”. “ E va bene. Te ne racconto una breve. Visto, che fuori sta nevicando, ti racconterò una storia, che mi ha raccontata una mia amica. E’ una storia vera, capitata proprio a lei. Tieni, prendi in braccio il tuo peluche e ascolta”.
Era andata in montagna, quel giorno. Anche se era sola, non aveva paura. Conosceva a memoria quel monte. Vi andava fin da bambina. La giornata, era splendida.
Le alte vette s'immergevano in un cielo talmente azzurro e profondo, che lei provava l'irrealizzabile impulso di tuffarcisi dentro. I declivi erano ricoperti da neve ghiacciata, che senz'altro doveva essere cosparsa di polvere di diamanti, che il sole faceva luccicare in arcobalenanti iridescenze. Alla sua destra, in quello che era un sentiero che s’innoltrava nel bosco, scorse delle orme. Erano senza dubbio orme femminili ma erano appena accennate, come se chi le aveva lasciate fosse estremamente leggera, in grado di camminare sfiorando appena il suolo innevato. La curiosità era forte. Perché quindi non seguirle? Era strano voltarsi indietro e vedere le proprie orme, piccole ma profonde, accanto a quelle di un enigma. Ad un tratto si trovò di fronte ad una quercia secolare, con il tronco squarciato da un fulmine, a mò di grotta e proprio qui le orme terminavano. Si guardò attorno per scorgerne altre ma, una nebbia improvvisa e impenetrabile, impediva di vedere anche a pochi centimetri di distanza. La cosa la turbò. Che poteva fare? Tornare indietro non era prudente perché, poteva perdersi nel bosco e scivolare in qualche crinale. Era stanca ma non poteva sedersi sulla neve. Decise allora di entrare nella nicchia del tronco. Tolse lo zainetto dalle spalle e si accomodò come meglio poteva. Dopo tutto non era neppure troppo scomodo. Prese dallo zaino il thermos pieno di thè, ancora quasi bollente, ne bevve alcuni sorsi e chiuse gli occhi per godersi il calore, che la ritemprava…
Il camino era piccolo ma, la fiamma era viva, danzante e mille scintille si rincorrevano e si perdevano nel buio della cappa. Davanti vi era un morbidissimo tappeto, era di un verde molto scuro e aveva un buon odore di muschio, Lei vi era comodamente seduta e si rilassava al tepore. La penombra le impediva di distinguere chiaramente la persona seduta accanto. Scorgeva appena un viso ovale, incorniciato da lunghi e ondulati capelli. Aveva una veste di un azzurro scuro, che la ricopriva fino ai piedi, con maniche larghe, dalle quali uscivano le mani morbide e affusolate, che le porgevano una tazza trasparente colma di una bevanda fumante. Era buona, e il sapore era dei frutti freschi del bosco e del miele grezzo. La figura femminile si alzò muovendosi leggera come se sfiorasse appena il pavimento e scomparve. Non avevano parlato ma si erano comprese ugualmente. Un ciocco del camino scoppiettò, la musica di arpe, che giungeva in lontananza si spense e lei aprì gli occhi. Dov’erano il camino, il tappeto e la diafana figura? Le gambe un poco intorpidite la portarono in fretta alla realtà. Uscì dalla nicchia dell’albero e si stirò per risvegliare i muscoli. La nebbia se n’era andata e seguendo a ritroso le orme che aveva lasciato poteva tornare facilmente al luogo di partenza. Si chinò per prendere lo zaino e scorse ai piedi dell’albero una foglia e un rametto. Li prese in mano, osservandoli attentamente. Erano chiaramente di Nocciolo ma nelle vicinanze non vi era presenza di questi alberi e anche se vifossero stati non avrebbero certamente avuto foglie e rami freschi. Li raccolse e si avviò pensierosa. Alla sera, giunta a casa, fece una doccia, si mise una calda tuta e si preparò una cena leggera. Accese anche la televisione ma non ascoltava le notizie perché la sua mente cercava ancora di risolvere il mistero del suo strano ritrovamento. Mangiò, lavò i piatti, riordinò la cucina e si avvicinò alla libreria per prendere un libro dove aveva deciso, avrebbe messo i due tesori boschivi. Ne scelse uno a caso, lo aprì e lesse alcune righe….– Fra i tanti e misteriosi abitanti dei boschi, vi sono anche le fate. Sono creature gentili e ricavano le loro bacchette magiche dai rami dell’albero del Nocciolo……
La bimba, guardò la nonna e chiese. “Nonna ma, sei proprio sicura, che sia una storia vera?”. “La mia amica, mi ha mostrato diverse volte, quella foglia e il rametto racchiusi nel libro. Ti assicuro, che nel corso degli anni, non hanno mai perduto la loro freschezza. Come posso io, dire, che la storia non fosse vera. Siamo sicuri di conoscere bene, la vita dei boschi?”. Gli occhi della bambina si stavano chiudendo. Strinse il suo peluche e si addormentò. Chissà, se avrà sognato fate. Io credo di sì…




giovedì 30 gennaio 2014

Quell'albero spezzato (riflessioni per un amico)

Era un albero buono, pacato, generoso. Sempre pronto a dare ombra, frutti, ospitalità a giovani cinguetii. Non chiedeva grandi cose, solo di essere amato, per quello che era. E di amore, ne aveva e stima, per il suo altruistico adoperarsi. Quell'albero, non era vecchio. Il tronco sembrava robusto, pronto a sfidare, venti contrari. Un giorno però, arriva una tempesta improvvisa, crudele. Una tempesta, che non guarda, dentro al cuore dell'albero. Sembra, abbia solo il compito di distruggere. E lo fa, incurante. Il tronco spezzato, resta lì. Non più potrà, donare protezione. Non più, sentirà cinguettii. Non più, linfa a rigenerare gemme. Resterà l'amore, di chi lo ha conosciuto, amato, visto felice. Quello resterà e sarà rinnovato da parole. Qualche volta, ci saranno lacrime, che cercheranno di penetrare nelle radici. Chissà perché, non credere, che in un indefinito luogo nello spazio,una parte, a noi invisibile dell'albero, ci stia ad osservare e ci infonda il pensiero di guardare oltre... La vita, è ancora di fronte a noi e lui, in silenzio, sarà al nostro fianco...

Per non dimenticare



Le voci provenienti dal buio, che sanno e vogliono raccontare. Che siano raccolte e ancora narrate. Legate da un filo indistruttibile, che le tenga unite. Perché nessun vento,possa disperderle. Per non dimenticare...

venerdì 10 gennaio 2014

RIFLESSIONI TRA VECCHIE PIETRE

In questo giorno, amica mia, voglio percorrere a ritroso con te, il sentiero già percorso, da chi a me è sconosciuto. Presso vecchie pietre sostiamo a cercare,attimi di vita, di volti, di voci, in quelle stanze, che guardano il cielo. Sul tavolo di povero legno, la parca cena, immaginiamo, di chi, della, a volte grama terra, dei pochi frutti si nutriva,. Nella fioca luce di una candela,che a creare ombre sulle pareti si divertiva, il verde radicchio spiccava, da lardo sciolto scaldato. Al centro un giallo, caldo sole di mais. Un bianco filo a tagliare fette, già dallo sguardo divorate, di quel giovanile appetito. Camino acceso, nelle sere d'inverno. Rosario in latino e bimbi, che sulla panca, chiudevano gli occhi. Rosario di Maggio nella cappellina. Il ritorno, fra corse e risate e qualcuno sempre s'attardava, per un complimento a mezza voce o per rubare un bacio, a quelle labbra, rosse di primavera. Quanti pensieri, quante preghiere, quanti sogni, che lontano volavano. Qualche amore, qualche gioia, qualche dolore, rimasti forse racchiusi dentro le pietre. E noi, che già anni, in altri luoghi, abbiamo vissuto, ci raccontiamo di noi, perché anche le nostre parole si uniscano a quelle già pronunciate. Una preghiera diciamo, sul sagrato di pietra. Non corse, non sogni vaganti, già la vita, li ha esauditi o scordati. Ha intrecciato emozioni, conoscenza e conoscenze, che a volte ci hanno aiutato e a volte, ci hanno tradito. Ma oggi non importa. Importa, che siamo qui, a condividere il giorno, in un luogo già amato e ancora da amare. Qui, dove il sole sa scaldare i cuori. Dove il vento s’insinua fra sterpaglie e vorrebbe estirparle. Mangiamo un pane e squisito ci sembra il sapore del cibo, da Dio benedetto. Cadono briciole… Un passerotto fiducioso s’accosta per becchettare. Poi alza il capìno. Lo sguardo s’incrocia. Comprende e cinguetta… BENVENUTE…

Foto

UN ORATORIO

Siedo di fronte ad un piccolo oratorio, incastonato tra il verde incolto. Tengo fra le mani il quadernetto, che raccoglie i pensieri dei passanti. Ascolto il continuo mutare dei battiti del mio cuore. L’alternarsi delle emozioni, mentre attenta leggo frasi scritte da mani, che mai conoscerò.
Parole sorridenti per grazie ricevute. Grida d’aiuto invocato per il bene della persona cara. Per poter superare una sorte avversa, che d’improvviso ha sconvolto la vita. Su una parete imbiancata di fresco, un luminoso dipinto della Natività. Un cespuglio di rose profuma l’aria e su una mensola un cero acceso da poco. Non guarda la Vergine Madre gli errori sfuggiti alla penna. Vede solo la grande fede di chi ringrazia o chiede attenzione. Scorre veloce il traffico sulla strada che passa vicino. Ecco un’auto si ferma. Una copia con bimbi, ne scende. Si avvicinano, camminando adagio facendosi il Segno di Croce. Porgo il quaderno. M’allontano per non turbare con la mia presenza,
quell’intimo attimo di raccoglimento.



venerdì 3 gennaio 2014

BUON ANNO

Già nella valle
il sole è al lavoro. 
Illumina i monti
e fa brillare Croci
che diano speranza
a chi, alza lo sguardo.
Ha lucidato il Ceno
che unisca la gente
in un solo pensiero
di collaborazione.
Ti svegli
ed è ancora un altro anno
da vivere.
Non chiederti quanti
ne hai già vissuti.
Non chiederti quanti
dovrai viverne ancora.
Vivilo come fosse
una cosa nuova.
Come un nuovo dono
come un nuovo abito
come un nuovo amore.
E’ tutto da scoprire
vivilo con curiosità
e sarà più leggero.

VIBRAZIONI DIVERSE

Vibrazioni di note nell'aria
campane,a suonare l'Ave Maria.
Vibrazioni di passi di bimbi
che al mattino, corrono a scuola
e del bastone di un vecchio
che indugia al passato.
Vibrazioni di vita sui tetti
di beccucci, aperti in attesa.
Vibrazioni di un, sì, sul sagrato
di sposi, a guardare il domani.
Vibrazioni di un nuovo vagito
in cerca, di un seno di madre.
O di un pianto davanti a una foto
mentre aggiusti un mazzo di fiori.
Vibrazioni, di urla di donne
a cercare invano un aiuto
per sfuggire a un branco assassino.
Vibrazioni di morte da bombe
che dal cielo,cadono a pioggia
a soddisfare umana avidità.
Vibrazioni diverse, che spero
tu possa ascoltare.
vibrazioni diverse

ALLISON

Allison, stava guardando, attraverso la vetrata della sua villetta, i bambini dei vicini, che si rincorrevano e si tuffavano nella piscina, sotto l'occhio vigile della mamma. Era una scena, che le procurava sempre una tremenda fitta al cuore e ancora una volta si trovò a fare il bilancio della propria vita. Era rimasta orfana di entrambi i genitori, quando ancora bimba, quel tremendo attentato aveva distrutto la vita a migliaia di persone e tra essi, i suoi cari. Non avendo altri parenti, era stata messa dal governo, in un college, dove per superare il dolore si era tuffata sui libri, guadagnando ogni anno una borsa di studio. A lei sembrava una rivincita sulla vita crudele. A diciott'anni era andata ad abitare presso la famiglia Blake, come ragazza alla pari e dava anche qualche piccolo aiuto come segretaria. La famiglia, possedeva una splendida villa ed era ricchissima. Erano due sposi sui trent'anni, che avrebbero dovuto essere felici, invece avevano un dispiacere immenso. Non riuscivano, nonostante cure specialistiche e all'avanguardia, ad avere bambini. Allison, che intanto continuava gli studi conobbe Mark, un ragazzo, rimasto anche lui orfano nella stessa circostanza e per entrambi era scoccato il colpo di fulmine. Ma anche questa volta il destino ci mise del suo. Mark fu mandato dal governo, a combattere in una di quelle guerre scoppiata solo per motivi di petrolio e possedimenti di diamanti. Appena partito, Allison si era resa conto di attendere un bimbo. Gli aveva mandato subito un messaggio e lui per risposta, l’aveva pregata di cominciare a preparare i documenti, perché alla prima licenza si sarebbero sposati. Tutto quello, che ebbe dopo pochi giorni, fu una bara avvolta in una bandiera su cui piangere. Era disperata, non sapeva cosa fare. Gli studi non erano ancora terminati e non aveva neppure un lavoro sicuro. Si confidò con la signora Blake, che dopo aver cercato di consolarla per un paio di giorni, cominciò a consigliarle di interrompere la gravidanza, essendo ancora alle prime settimane di gestazione. Alla giovane questo consiglio sembrò strano, specialmente dato da una donna, che desiderava ardentemente un bambino. Il dolore però era immenso e la cruda realtà della propria vita, la convinsero. La signora, si sarebbe anche fatta carico delle spese, presso una clinica privata. Così un mattino Allison fu sottoposta ad anestesia totale e al risveglio,ebbe la conferma, che tutto era andato per il meglio. Per rimettersi in salute e per evitare una depressione latente, i signori Blake la mandarono, sempre a loro spese, in un’altra clinica privata, che si trovava però sull’altra costa del continente . Il clima migliore l’avrebbe aiutata. La ragazza si sentiva come svuotata da ogni sentimento e accettò ogni cosa come un automa. Dopo un mese in quella clinica, con l’aiuto di una psicologa, cominciò a sentirsi meglio. Fu in quel momento, che le giunse la notizia, che il signor Blake, le aveva trovato un ottimo impiego, in quella città. Avrebbe avuto a disposizione anche un piccolo appartamento. Per seguire gli affari della ditta, che aveva filiali sparse per il mondo, avrebbe dovuto viaggiare molto. Così la sua vita d’improvviso cambiò. Il lavoro era veramente interessante, poteva visitare gratuitamente splendide località e aveva anche potuto acquistare una graziosissima villetta. Una cosa sola non le era più riuscita di fare, innamorarsi. Il dolore dentro era ancora profondo e questo le aveva fatto rifiutare anche ottimi partiti. I contatti con la famiglia Blake si
erano diradati, non certo per colpa sua. La gratitudine, la conservava pienamente.
Si scosse dai pensieri e si avviò verso la cucina per prepararsi una tazza di the. Doveva disfare anche la valigia, dato che era appena tornata da un ennesimo viaggio di lavoro. Per questo però aveva tempo, perché per i prossimi giorni sarebbe stata in ferie. L’acqua era calda, mise la bustina nella tazza ma, proprio in quel momento sentì il campanello della porta. Andò ad aprire, convinta di trovarsi di fronte la vicina venuta a darle il bentornata. Invece la persona, che le stava di fronte, le procurò un fortissimo batticuore. Erano passati ormai vent’anni, c’era qualche segno sul viso ma riconobbe subito la signora Blake. Cercando di vincere l’emozione l’abbracciò stretta, invitandola ad accomodarsi. La signora si sedette in una comoda poltrona. Era elegantissima, come sempre, pochi gioielli ma di gusto raffinato. Solo l’espressione degli occhi era cambiata. Si poteva scorgervi, infatti, un velo di tristezza e di ansia. Allison le offrì una tazza di the, chiedendo come mai avesse deciso di farle visita senza nessun preavviso, anche se la cosa la riempiva di gioia. La sua ospite si attardava a sorseggiare la calda bevanda, con le mani, che a tratti avevano un tremito. Allison non si spiegava questo comportamento ed educatamente cercò di invogliare la donna a confidarle quello, che la turbava così profondamente. La signora Blake, posò la tazza ormai vuota, sul tavolino, si asciugò le labbra con un fazzolettino, tolto dalla borsetta e improvvisamente cominciò a singhiozzare disperatamente. Le parole sgorgavano come un fiume in piena. Parlava in fretta, quasi come temesse di non avere il coraggio di continuare. Allison ascoltava come in trance. Non poteva essere vero, quello che udiva, era solo un racconto di fantascienza. La signora, infatti, stava dicendo, che l’embrione, che avevano tolto a lei, nell’interruzione di gravidanza, era stato impiantato nell’utero della sua benefattrice e così dopo otto mesi, seguita da ricercatori, aveva dato alla luce, una splendida bimba, che forse per qualche recondito senso di colpa, era stata chiamata, Allison. La ragazza tremava come una foglia. Non era possibile, la sua bimba non era morta, era solo cresciuta in un grembo, di un’altra donna e lei non ne aveva mai saputo nulla. Non aveva potuto cullarla, accudirla, vederla crescere. Si sentiva imbrogliata, defraudata della cosa più preziosa. Guardava la donna che seduta di fronte, continuava a singhiozzare e non sapeva più se provare odio o pena. Ma per quale motivo si era decisa solo ora a rivelarle questa assurda verità? Con quale scopo? Queste furono le domande, che urlando pose alla sua amica, nemica. La signora si asciugò gli occhi, ormai gonfi e arrossati e disse, che il motivo era molto grave. Lei e il marito, avevano adorata questa figlia, non le avevano fatto mancare nulla e aveva potuto studiare nelle migliori scuole. Era cresciuta serenamente ma ora, improvvisamente si era ammalata di una tremenda malattia, che poteva essere curata solo con un trapianto di midollo compatibile. Così si erano visti costretti a rivelare la verità, prima alla ragazza, che avendo guardato degli esami del sangue, suoi e di quelli, che aveva sempre considerato genitori, si era accorta, che il proprio gruppo sanguigno, era diverso dal loro. Come poteva nascere un figlio con RH 0 da due genitori con RH B e A? A quel punto solo la verità poteva mettere fine alle pressanti domande della giovane vent’enne. Al principio era caduta in un mutismo, protrattosi per molti giorni, poi aveva cominciato a chiedere della madre naturale, sperando, che il suo midollo osseo potesse essere compatibile, perché lei era troppo giovane e non voleva morire. Aveva molti progetti da realizzare, esperienze da fare, voleva un marito e dei figli. Così la signora Blake aveva preso un aereo ed ora era lì, tremante e singhiozzante, a chiedere aiuto per salvare quella creatura, che era di entrambe. Allison portò le tazzine nel lavandino, le lavò, le ripose con una lentezza esasperante, mentre le tempie le martellavano. L’altra la guardava muoversi avanti e indietro, senza più avere il coraggio di proferire una sola parola. Ad un certo punto la vide salire le scale, che portavano al piano superiore e temette, che fosse un modo per accomiatarla ma la vide subito riapparire con una valigia in mano. Dopo tutto non l’aveva ancora disfatta e per i prossimi giorni sarebbe stata in ferie.

NATALE NELLA VALLE

Fruscìo leggero, nell'aria della valle
Volo d'angelo a visitare case
nella notte magica della Vigilia.
Famiglia serena, attorno al tavolo.
Pasta con u savù e merlussu frittu.
Luci nell'albero e un piccolo presepe
che aspetta il Bimbo che deve tornare.
Sorride l'angelo e leggero s'allontana.
In un letto giace un ammalato grave
grande la sofferenza ma, nel cuore la speranza
che il Nuovo Nato, lo aiuti a sopportare.
Un mesto sorriso, sul viso dell'angelo
che un’altra famiglia s’appresta a visitare.
In questa casa, il lusso è abbondante.
Sul tavolo cibo di ogni qualità
vini, dolci e doni in attesa
avvolti in luccicanti scatole firmate.
Nei cuori però, la fede è scomparsa
Una lacrima scende dal viso celeste.
Una piccola casa, attira l’attenzione.
Qui, c'è un’anziana, che vive da sola.
I figli lontani, non possono tornare.
La cena leggera, che gli anni sono molti.
Una tovaglietta, tutta ricamata
sopra, nel piatto, un pane posato.
Un Bicchiere, l'acqua e un piccolo dolce
gesto che dalla madre, aveva imparato,
Perché Maria possa rifocillarsi.
Sorride l'angelo e le fa una carezza
una grande pace scende nel vecchio cuore.
Suono di campane, la valle ricolma
il BIMBO, ancora, per noi è rinato.

VOLO DI UCCELLI

Volo di Uccelli ho sognato
intorno al dormiente albero.
e in sogno li ho dipinti 
su sfondo sfumato.
Inconsapevoli simboli di vita
e libertà negate.
Immoti e immutabili
sull'onirica tela
il volo fermeranno.
Immoti e immutabili
come certi destini.
Mentre una vecchia casa
al fato s’abbandona.

Buon Natale

Buon Natale
educatamente rispondo
a chi a me si rivolge.
Buon Natale?
Ma io più non amo il Natale.
Non si ravviva emozione
con luminarie e luccicanti vetrine.
Non è questo, il Natale che amo.
Meno pieni carrelli di spese
che la crisi è ancora pesante
ma il cibo sempre trionfa.
E infiocchettati regali
per convenienza da rispettare.
Mentre il vicino di casa
che la Ditta da mesi non paga
non ha soldi per un litro di latte.
Allora rimpiango
il mio Natale di un ieri
quando altro significato
aveva la Festa.
Quando un angelo di cioccolato
sembrava un dono del cielo.
Ogni anno il personale Natale
in silenzio, da sola rinnovo.
Lo rivivo nell'acqua e nel pane
lasciati fino al mattino
perché Lei, ritrovi la forza
dopo un parto vissuto da sola.
Il mio personale Natale
teneramente racchiudo
nelle mani del Bimbo Divino
perché possa, portare nel mondo
un sentimento di condivisione.

Valentina Selene Medici

PREGHIERA

Santa Maria, Vergine Addolorata, noi t'imploriamo di starci vicino quando sulla nostra esistenza incombono il dolore e le prove,
le delusioni e gli affanni. Nell'ora del nostro Calvario,
tu, che hai sperimentato la sofferenza sotto la croce, stendi il tuo manto su di noi, perchè ci sia più sopportabile
il cammino nella notte, verso la pienezza della luce. Amen.