1956
Dalla strada comunale si giungeva, di fronte all’arco con
cancello, sempre aperto, della grande corte contadina. La casa a forma di elle
ospitava due famiglie. I proprietari erano tre fratelli di cui, uno solo era
sposato. La moglie, aveva venti anni di meno, del marito. Bionda, grassottella,
che sfogava l’infelicità, di un matrimonio obbligato, cucinando e mangiando.
Aveva cinque figli ma, il protagonista del racconto vero, aveva appena festeggiato
il quarto compleanno, proprio in quell’anno. Il piccolo Dino, cresceva felice,
seguendo il lavoro dei grandi e giocando con il grosso cane.
Praticamente non aveva giocattoli e in casa, non possedevano neppure una
radio. Di giornali e giornaletti,
neppure a parlarne. Il padre era troppo avaro per concedere quei lussi. Quando
però non si conosce come è il mondo, al di fuori dei monti attorno, non
potevano esserci grandi aspettative, per una mente innocente.
La madre, aveva
cresciuto i figli con dolcezza, alternata a severità e in casi di
disubbidienza, era la bacchetta, che teneva aportata di mano, a lasciare segni
sulle gambe. Aveva proibito a Dino di allontanarsi , da solo, dal cortile.
C’erano spesso zingari in giro e aveva paura che lo rapissero.
Un giorno, intenta nelle solite faccende, si accorse della
mancanza del bambino. Lo cercò in ogni angolo senza risultato. Disperata, stava
per andare a chiedere aiuto agli uomini, quando lo vide arrivare
tranquillamente.
Dove sei andato, lo
sai che non ti devi allontanare dal cortile e le parole furono seguite, dal
segno rosso, lasciato dalla bacchetta sulle gambe.
Mamma, non sono scappato. Sono andato nel prato grande
perché , gli omini belli mi hanno chiamato. Avevano bisogno di me.
Omini belli? Erano gli zingari che volevano portarti via?
Ma no mamma, sono
omini molto più piccoli di me. Sono
scesi da una grossa palla, un po’ schiacciata. Sono molto belli e la donna, ha
lunghi capelli biondi. Sai mamma, nonè che parlassero ma io li capivo e li
dovevo aiutare per ripartire. C’era una
spece di ferro che dovevo togliere.
La madre, non sapeva
cosa fare. Che stava dicendo, suo figlio? Era impazzito o aveva solo la febbre
molto alta? Lo portò in casa e gliela misurò. Niente febbre. Era fresco e aveva
anche fame. Forse qualche vicino, gli
aveva raccontato una storia strana? Si fece ripetere la cosa e si fece
promettere che non si sarebbe più allontanato, che la bacchetta, era sempre
pronta. Passarono giorni tranquilli ma un pomeriggio, eccolo scomparire di
nuovo. La scena e le parole del bimbo,
furono fotocopia della volta precedente. La povera donna, non sapeva cosa fare.
Ne parlò con gli uomini, dicendo che avrebbe portato Dino dal dottore per una
visita completa. Gli uomini scoppiarono a ridere, dicendo che erano solo
fantasie di un bambino, che non sapeva come divertirsi. Il padre, gli comperò
anche un pallone perché potesse sfogare la sua voglia di correre. Periodo
tranquillo, ma quando il fatto accadde per la terza volta, la donna decise di
passare alle maniere forti. Lo picchiò con la bacchetta, lo mandò a letto senza
cena e per diversi giorni, lo tenne chiuso in casa.
Osservandolo, vide che aveva spesso in mano un oggetto
strano e ci giocava. Cosa poteva essere? Dove lo aveva preso? Glielo chiese e la
risposta, la lasciò senza parole.
Questo mamma, è il
pezzo che devo togliere dalla grossa palla degli omini, perché possano
ripartire.
Glielo prese e lo mostrò agli uomini e agli altri figli.
L’oggetto fu esaminato a lungo senza riuscire a capire, di che materiale fosse
fatto. Provarono a piegarlo, a scalfirlo, a romperlo. Nulla. Dino, continuava a
raccontare la sua versione. La madre glielo nascose e lo minacciò, di venderlo
agli zingari, se non smetteva di dire bugie. Il castigo terminò e dopo qualche giorno,
eccolo sparire di nuovo. Al ritorno, la donna, fece per alzare la bacchetta ma
si fermò. Sul viso del bimbo, c’era un’espressione di smarrimento, che la
turbò. Chiese, dove fosse andato.
Mamma, ma sono sempre rimasto qui a giocare con la palla e
il cane!
Non sei andato dagli omini belli?
Dino la guardò
stupito, senza capire. Che stava dicendo, sua madre? Lei si zittì e tenendolo sotto osservazione, notò, che
quando qualcuno parlava degli omini, lui sembrava non capire.
Gli anni volarono. I fratelli migrarono all’estero e il
padre anziano, chiuse gli occhi. Erano passati vent’anni giusti e Dino, era
rimasto accanto alla madre, per prendersi cura del podere. Un pomeriggio,
intenti a mettere la frutta nelle cassette, la madre, lo sentì mandare un gemito
e sbiancare in volto. Lo fece sedere, gli portò dell’acqua e stava per
telefonare al medico quando lui la bloccò. La fece sedere accanto e chiese.
Mamma, ti ricordi quando avevo quattro anni e ti parlavo, di
omini belli?
A questo punto fu la donna a mandare un gemito. Non poteva
ricominciare ancora con questa storia. Ora non poteva più metterlo in castigo e
la bacchetta, non esisteva più…. L’uomo cominciò a raccontare….
Vedi, io mi sentivo
veramente chiamare da quei piccoli esseri.Scendevano veramente da una grossa
specie di palla schiacciata e quando volevano ripartire, io dovevo spostare,
quell’oggetto che avevo portato a casa ma, che non ho più ritrovato. Tu non mi
credevi e l’ultima volta che sono andato, ho pensato, che ne avrei preso uno,
per portartelo a fare vedere. Probabilmente, hanno capito il mio pensiero. Sono
diventati cattivi, mi hanno minacciato e detto, che per vent’anni, non mi sarei
ricordato di loro. A quel punto, mi colpirono con una luce forte e mi sono
ritrovato nel cortile, ad ascoltare te, che parlavi di cose strane….
Questo racconto, è
vero. Non l’ho vissuto in prima persona ma ero accanto ai protagonisti ed
essendo ancora bambina, la vivevo come una fiaba. La donna se ne è andata da
anni ma Dino, è ancora fermo, nel raccontare questa storia.