selenevalentina
domenica 27 novembre 2016
Disegno di Flavio Nespi
PAPAVERO
Era Luglio e lungo il fossato
di papaveri l’argine era coperto.
Senza coglierli aprendoli appena
di indovinare il colore si cercava.
Chi perdeva pagava pegno
e quella volta era stato scelto, un bacio.
Con ansia aspettava che le fresche labbra
finalmente si posassero sulle sue.
Un brivido, che dentro sconvolgeva
che il pegno a lungo era durato.
Resta la vita a raccontare storia.
venerdì 18 novembre 2016
Disegno di Flavio Nespi
Paura
Quella che ti prende, ti preme, ti schiaccia, ti soffoca, ti
attanaglia e ti sembra di non trovare soluzione. Lei che appare, quando la
tempesta d’improvviso si abbatte a sconvolgere la vita. Troppo grande e
non eri preparata. Ma forse qualcuno lo
è? Annaspi in cerca di ossigeno, di parole, che sfuggono e più non trovi o
forse, neppure cerchi.
Paura
Quando la brezza lieve, smuove appena la tenda leggera,
della finestra socchiusa. Ma ora cos’è quel lampo improvviso? Quello schianto,
che tutto fa tremare? Un vento rabbioso, spalanca i vetri. La pioggia è
scroscio. Grandine pesante. Trema l’albero. La furia lo scuote, lo attorciglia
e lo spezza. Era il tuo albero e fa male il cuore, come viva ferita.
Paura
Quando al mattino, con occhi chiusi, ascolti il traffico
fuori. Lo trasformi, nel rumore del carro di Pegaso, che porta il primo raggio
di sole. Adagio apri gli occhi sperando, di poterlo ancora scorgere. Sarà per
oggi, per domani, per un anno o molti di più? Non hai risposte, ma oggi ti
appaghi.
Paura
Negli occhi di un bambino, che vede un passero, poggiarsi su
un fuscello sottile, contorto. Si spezza sotto al pur leggero peso, ma il
passero ha ali e vola lontano. Respira il bimbo e sorride felice.
Paura
Il passero ha ali.
Ecco, poter mettere ali alla paura e vederla volare lontano.
Utopia, ma nel pensiero, resta quel sorriso fanciullo.
E se queste ali, fossero racchiuse in un sorriso, di chi ti
sta accanto?
mercoledì 16 novembre 2016
La persona che raccontava, molti anni fa,
questa vicenda, assicurava, fosse vera.
ROSA
1910.
Il paese era minuscolo là, inmezzo ai
monti. Una piccola chiesa, una piccola scuola, un vecchio prete e una maestra,
altrettanto vecchia. La scuola, frequentata quasi esclusivamente da maschi. Le
bambine, era tanto se terminavano la seconda elementare, poi servivano a casa.
Se qualcuno fosse passato di là e avesse cercato la povertà, gli sarebbe
bastato bussare ad una porta qualsiasi e l’avrebbe trovata. I benestanti,
stavano larghi, nelle dita di una mano ed erano quelli che possedevano i poderi
agricoli. Gli altri erano mezzadri o se possedevano una vecchia casa di sassi,
una mucca, qualche gallina e un orto, andavano a lavorare la terra altrui, a
ore. Nel paese c’era anche un’osteria. Rosa, che non voleva andare per serva in
città, aveva chiesto lavoro ai proprietari ed era stata assunta. Doveva lavare
piatti e bicchieri , pulire il locale e una volta alla settimana, andare alla
fontana a lavare le tovaglie. L’osteria, era frequentata da Franco, figlio di
uno dei pochi ricchi. Ilgiovanotto, era bello e aveva un’aria spavalda. Girava
nel paese con una bicicletta nuova, che faceva invidia a molti. Aveva messo gli
occhi adosso a Rosa e ne valeva la pena perché, era molto bella. Se la
intravedeva nell’osteria le sorrideva e quando era alla fontana a lavare, si
sedeva sul bordo e la corteggiava, facendole promesse di matrimonio. In
principio lei si scherniva ma si sa, se l’amore si mette d’impegno, riesce a
vincere. Molte volte quando Rosa tornava a casa, che già era buio, il giovane, la
accompagnava per un tratto di strada, con la bicicletta. Le sue avance
diventavano sempre più audaci e la sera in cui le disse… Mantieni il segreto
ma, sto preparando le carte per il matrimonio e ti porto a vivere a casa mia…
lei gli si abbandonò. Dopo alcuni giorni, ebbe il sospetto di essere rimasta
incinta. Paura, che attanagliava il cuore. Se in famiglia lo avessero scoperto,
sarebbe stata tragedia. Aspettò un po’ sperando, ma poi una sera si decise a
dirlo al suo futuro marito. Certo pensava, la amava, sarebbe stato contento e
l’avrebbe sposata in fretta. Le cose, non andarono così. Appresa la notizia il
giovanotto, scoppiò a ridere, dicendole, che magari il figlio non era suo e che
se era stata con lui, chissà con quanti altri era stata. Pianse disperata. Lui
sapeva benissimo, che era stato il primo e unico. Non ottenne che insulti… I
giorni seguenti li visse come un incubo. Ogni volta che si incontravano, lui
scoppiava a ridere. Da molti giorni pioveva continuamente. Anche quella sera,
mentre tornava a casa,cercando di ripararsi con uno scialle ormai fradicio,
piangendo, sentiva la gola che si chiudeva e il cuore che batteva impazzito.
Cercava di trovare una soluzione al suo immenso problema… Si fermò sul ponte ,
che doveva attraversare… Si fermò a guardare l’acqua del torrente… Era torbida e lambiva quasi le arcate… Trasalì sentendosi chiamare.
Il rumore era talmente forte, che non
aveva udito i passi. Era il vecchio prete, chiuso nel suo tabarro. Era andato a
portare Unzione e conforto in una famiglia, dove un bimbo di appena due anni,
aveva chiuso gli occhi per la polmonite. Quella notte nella casa di Rosa, si
versarono lacrime e si sentirono urla di rabbia. Il padre avrebbe voluto andare
a prendere a pugni quel bellimbusto, ma il prete lo fermò. Cosa avrebbe
ottenuto? Parole cattive e perdita di lavoro. La madre piangeva, chiedendosi se
aveva sbagliato lei a educare la figlia. In fondo al cuore, però sapeva cosa
poteva fare l’amore e l’ingenuità. Il prete si prese carico della situazione.
Dopo qualche giorno, Rosa si licenziò
dall’osteria, dicendo di aver trovato un posto in città e salita sulla
corriera, se ne andò, con in cuore gonfio. In città, alla fermata, trovò una
suora che la condusse in un convento, adiacente ad una piccola clinica. Rosa
non ricevette nessun rimprovero dalle suore, ma solo consigli e aiuto. Andava
con loro nella clinica e fino a quando la gravidanza glielo permise, le aiutò
nelle pulizie, nel rifare i letti e assistere gli ammalati. Venne il giorno
della nascita e le fu posto fra le braccia un meraviglioso bambino, che divenne
la gioia di tutto il convento. Con l’aiuto delle suore, Rosa potè studiare e
diventare, una brava infermiera.
1915
Le voci di una guerra imminente, si
facevano sempre più pressanti, fino a quando il 10 Giugno, anche l’Italia entrò
a fare parte di una tragedia, che avrebbe fatto migliaia di vittime.
Tutti
gli ospedali si prepararono a ricevere feriti, che non sarebbero certo mancati.
Anche nella clinica ne giungevano e la giovane infermiera, si prodigava, con
cuore e professionalità. Il bambino cresceva bello come il sole. Studiava e
spesso lo si poteva vedere, girare fra gli ammalati. Certo nella sua mente,
germogliava già il pensiero, di diventare medico. Rosa tornava raramente al
paese e naturalmente, senza mai portare il figlio. I genitori, chiusero gli
occhi per sempre e il legame, con le sue radici si spezzò.
1918
Di feriti, ne erano passati veramente
tanti nel piccolo ospedale. Se n’erano
visti guarire, restare invalidi e purtroppo, non farcela. Infine, giunsero voci
della fine della guerra e questo, rese tutti felici. Finalmente,niente più
corpi martoriati da schegge. Quel mattino però giunsero le ennesime ambulanze
con il loro carico di dolore.
Le suore e le infermiere, si prodigarono
immediatamente per soccorrerli nel migliore dei modi. Un dottore lesse ad alta
voce, i nomi dei feriti e a Rosa balzò il cuore in gola, nel sentire il nome di
Franco. Un sentimento di odio, si fece avanti nel pensiero, ma fu seguito
dall’amore, che aveva cercato di sopire. Il giovane, era gravemente ferito alla
testa e agli occhi. Una scheggia gli aveva perforata una vertebra, rendendolo
paralizzato negli arti inferiori. Aveva febbre altissima ed era semi
incosciente. Lo curarono e anche lei si
prodigò, come tutti gli altri. Piano piano, la giovane fibra lo fece
migliorare e venne il giorno, nel quale poté guardarsi intorno, in piena
coscienza. Nel frattempo Rosa, con il pensiero che la tormentava, aveva messo
al corrente le suore, della situazione, chiedendo consiglio, sul comportamento
da tenere. Le fu detto di mettere sempre davanti la professionalità e per il
resto, restare in attesa del comportamento del ferito. Quando Franco, si rese
conto di chi si stava prendendo cura di lui, non voleva credere ai propi occhi.
Scoppiò a piangere, senza riuscire a parlare. Il dottore dovette dargli un
sedativo per calmarlo. Il giorno dopo, chiese di poter parlare con Rosa e lei a
malincuore accettò. Franco raccontò, di quanto la guerra lo aveva cambiato.
Aveva visto morire molti compagni. Li aveva sentiti invocare il nome della
moglie, della madre e raccomandare i figli a Dio. In quei momenti si era reso
conto della sua stupidità. Anche lui, avrebbe potuto avere una donna sincera e
un figlio da crescere. Mentre parlava, ecco entrare il bambino e l’uomo, rivide
se stesso da piccolo, tanto era la somiglianza. La donna gli fece cenno di non
parlare e lui la ascoltò. Dopo qualche giorno, la chiamò accanto a se e
prendendole una mano, chiese scusa, per il male che le aveva fatto. Proseguì
poi dicendo che avrebbe voluto riconoscere il bambino e pur sapendo, che ora
non era che un invalido, le chiese di sposarlo. Era ricco, avrebbe
assunto personale per la casa e anche un’infermiera per se stesso. Le sarebbe
bastata la sua compagnia per dimostrarle pentimento e darle tutto l’amore che
poteva e meritava. Questo la donna proprio non se lo aspettava. Ci pensò e ripensò
chiedendo consigli. Il rancore era ancora forte, l’amore, cercava di trovare
spazio. Si disse che sarebbe stato giusto per il figlio. Che fare? Quale
sentimento doveva prevalere? La meditazione, durò a lungo, poi andò da lui per
dire la propria decisione. Avrebbe accettato il riconoscimento del figlio.
Avrebbe accettato l’aiuto in casa. L’infermiera no. Questa mansione, la’vrebbe
svolta lei, con tutto il rispetto e professionalità, ma con uno stipendio. Per
il matrimonio, no, non lo avrebbe sposato. . Prendere o lasciare. Lui accettò
tutto. Le bastava averla accanto.
A
mercoledì 2 novembre 2016
Disegno di
Flavio Nespi
PAESINO NEL
BOSCO
Corre l'auto
Sulla strada
verso ovest
e lo sguardo
rapido assorbe
il mutare
del paesaggio.
Una manciata
di case
sparse là
fra il verde del bosco
su quel
monte che all'apparenza
sembra quasi
inacessibile.
C'è vita là
ne sono sicura
itetti rossi
sono rifatti
e alto
svetta il campanile.
Saranno
vecchi in attesa
di figli
emigrati
o giovani
che vogliono restare
a vivere
nella natura?.
Fra quelle
mura chissà quante storie
ci saranno
da ascoltare
Mai le
conoscerò ne vedrò visi
da
riconoscere un giorno
Ne loro mai sapranno
che il mio pensiero li ha sfiorati.
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