selenevalentina

martedì 26 dicembre 2017


Disegno di Flavio Nespi NATALE ( visto dal bue) Non posso presentarmi, con un nome. Nessuno me ne ha mai dato uno. Al massimo quando il mio padrone, era in buona, mi chiamava brutta bestia. Lavoravo dal mattino alla sera. Tiravo aratro. Tiravo carri, colmi di svariate cose, macinando chilometri, per andare nei vari mercati. Se qualche volta, rallentavo il passo. Il padrone mi pungolava immediatamente “Muoviti bestiaccia. Vuoi farmi arrivare, quando il mercato è terminato?” Così i giorni si susseguivano, tutti uguali. Quella notte, ero nella stalla, coricato sulla paglia, quando tutto ebbe inizio. La porta si aprì e vidi entrare, un asinello, una donna e un uomo. E questi, chi sono? Pensai. Se li vede il padrone, chissà quanto urla per cacciarli.” L’uomo, fece adagiare la donna sulla paglia. Sembrava molto stanca e un po’ sofferente. Mi girai verso l’asino, chiedendo spiegazioni. “Sono Maria e Giuseppe. Hanno camminato a lungo e non trovando nessun alloggio, hanno deciso di fermarsi qui. Maria sta per mettere al mondo il suo Bambino.” Un Bambino in una stalla? Non mi sembrava il luogo adatto. Poi tutto prese il corso naturale e la donna, potè stringere il piccolo sul suo seno , avvolto nel suo mantello. Il piccolino era dolcissimo. La Madre lo guardava, con immenso amore, ma a me parve di percepire un lieve attimo di consapevole dolore futuro. Dalla finestrella della stalla, entrava una luce mai vista, che illuminava la scena. Sentii voci all’esterno e passi. “Il padrone, era arrivato. Poveri noi! Invece dalla porta, cominciarono ad entrare persone sconosciute. Si inchinavano davanti alla famigliola. Alcuni lasciavano un piccolo dono e uscivano, per lasciare posto a nuovi venuti. Parlavano di una stella, che li aveva guidati. Del miracolo della nascita del piccolino, che avrebbe salvato il mondo dal male. Io non capivo molto ed ero sempre più perplesso. Poi riconobbi i passi del mio padrone. Chiusi gli occhi per non assistere alla scenata,ma non udendo grida, li riaprii. Il padrone, era inginocchiato, davanti a Maria e stava baciando delicatamente un piedino del Bambino. Mi accorsi, che aveva gli occhi pieni di lacrime. Ecco! Il miracolo, era forse questo? Da quel giorno, venni trattato nel migliore dei modi e il mio padrone diceva a tutti quelli che incontrava.”Vedete questo bue, ha assistito alla nascita di Gesù, proprio nella mia stalla!” Già,Gesù. Il nostro salvatore. Ma quanto amore e quanto odio nel mondo, nel suo nome. Sono solo un bue, ma se posso esprimere un desiderio, in questa notte di Natale. Che ricorda la sua nascita, vorrei…. Cosa vorrei? Nulla di miracoloso. Solo che nei cuori di tutta la gente del mondo. Si accendesse, la luce dell’amore e della pace. Buon Natale di ogni bene a tutti voi. La tua lettera è bellissima. Scritta da un cuore grande. Speriamo che Dio, illumini tutte le menti. Valentina

domenica 3 dicembre 2017

Foto di Flavio Nespi DICEMBRE Assolto ha già, Dicembre, il proprio dovere coprendo di niveo candore, campi e tetti. Ho deciso di passare i giorni di feste, dentro al castello con un fantasma amico, a farmi compagnia. Guardiamola lunga fila di carrelli, ricolmi di spesa mentre stanno allungando i tavoli, alla Caritas. C’era il Vangelo prima e una preghiera al Bambino. Ora c’è il ricettario dell’ultimo cuoco. Ci saranno doni a parenti e amici. Molti in fondo ad un armadio, andranno a finire o dati per il Terzo Mondo, per tacitare la coscenza. Al riparo, contro il muro della torre Oggi una rosellina gialla, ha aperto il cuore piccolo sole che sfida l’inverno e che porta speranza, in un domani migliore.

A Giuvanenna Ina vota l’era cusèi per tutti a pensa a Giuvanenna intantu che con a fenestra averta a cambia i lensò alla matenna. Detersivu e lavatrice, senza duvei anà cumme se fava ina vota a lavà in tu canà. A nà passà du tempu, in simma ai sassi inzenucià in tantu che u so fiurén u spetava de esse latà. Mma con ietre donne, se parlava anca du mangià e cose fà, per in francu, risparmià. Ina bella pulenta con u furmaggiu fattu in cà. Ina turta de erbette, de risu o de patatte. Ina bonna frittà missa in umidu cusei che in tu piattu, ghe fisse abbondanza e con in bel toccu de pan, lempisse a pansa. Ina ticcia de sigulle, peveron e suchén pien in simma ina fetenna de furmaggiu per gratinà e l’era in piattu, sempre tantu appressà. Se fava u budén con ovu,farenna e latte per mesturà e con ina fetta de pan a merenda l’era preparà. Doppu con u marì, l’era anà a sta in città e pian pianen a vitta l’era cambià. A lavatrice, a television, u telefunu. U fijò l’era bravu a studià e au paeise se turnava sultantu, per el feste cumandà. U tempu però alla svelta l’è passà e da le l’è restà a pensà au paeise, al donne, au canà e ai pagni da lavà. U fijò u gh’à a so famiglia e sempre tantu da lavurà a ne po miga pretende, che u la porta a girà. Ma duman l’è festa i vena tutti da le a mangià. Allura l’à decisu, tantu per cambià A ghe farà ina ticcia de sigulle, peveron e suchén pien, gratinà.

NOVEMBREFoto di Daniel Moon Frullare d’ali nella foschia. Giorni tristi, porta Novembre al pensiero di, a chi, l’orologio della vita il tempo implacabile, già ha fermato. Ma porta dolci frutti e un po’ di riposo al contadino, che al caffelatte s’attarda che i semi, la terra, culla nel grembo. Sfrigolano già, cipolle e verdure nel tegame. Aggiunge la donna, il coniglio tagliato. Il vino bianco a sfumare il tutto, nella lenta cottura. Ungiallo sole fumante, sarà compagno sul desco. Un segno di croce e lo sguardo a Colui, che tutti protegge. Freddo fuori, ma l’amore scalda, della casa le pareti.

domenica 12 novembre 2017





Foto di Flavio Nespi 
AUTUNNO


Non voglio ammantare i pensieri
di tristezze d’Autunno
per foglie che cadono all’oblio.
Per rami spogli che piangono nebbia.
Per tralci di vite cadenti
che grappoli più non sostengono.
Voglio godere di colori sfumati
di frutti marroni che ridono
fra spine dischiuse nel bosco.
Di funghi nascosti da foglie
e dall’ultimo fiore tardivo.
Dei giorni di San Martino
che ci dona, ritorno d’estate
e riporta alla mente il racconto
che condivisione, dovrebbe insegnare.
Non voglio attardarmi a pensarlo
come tratto di vita che precede
l’inverno che tutti addormenta.
Voglio amare nel caldo del cuore
l’Autunno, come ogni altra stagione.
   


sabato 11 novembre 2017



Foto di Flavio Nespi   

 AL CENTRO

 Ho messo te, al centro
del mio pensiero di vita.
Presente da percorrere, nelle fronde
 passato da trasmettere, nelle radici.
Mi ha sorretto il tronco forte
quando il peso, greve si faceva.
Sono scese lacrime di dolore
amalgamate a foglie cadenti.
Sono cresciuti progetti di speranze
fortemente adese ai rami
come giovani boccioli di foglie.
Ho percepito dolore forte
quando una ormai vecchia radice
si staccava per divenire humus.
Prego che il vento, non sia nemico
che la pioggia doni rinnovata linfa
e che giovani beccucci, spicchino il volo
dai nidi, con agili ali nell’azzurro.
Che il sole della valle, ti dia vigore
perché tu possa restare a lungo
al centro, del mio pensiero di vita.



sabato 14 ottobre 2017




   

SELENE

Stamattina la luna
tra il camino e l’antenna sul tetto
si è fermata a salutarmi.
Nomade ha proseguito l’andare
verso quel lontano infinito
 che mai conoscerò.
Cosa preziosa a lei ho affidato
e con pensiero d’amore, l’accompagno.
Oltre ai gabbiani, che tratteggiano l’aria.
Oltre la nave che all’orizzonte si staglia.
Ascolta forse la preghiera dello scoglio
che attende l’abbraccio dell’onda?
Se una nube la cela allo sguardo
è quel raggio leggero d’argento
che stretto fra le mani mi guida.
Non carte, non bussola, mi guida la scia
di un empatia, che ostacoli non ha.
Se stanchezza gli occhi mi chiude
come figlia a lei mi affido
mi adagio e materna mi culla.


giovedì 12 ottobre 2017




Foto di Paola Malvezzi  
 URLO DEL MARE

La rena ancora calda di sole
Mi invita nel vespro a restare.
Tuffo lo sguardo nell’orizzonte.
Il tramonto arrossa le acque, le incendia.
Raccolgo la piccola, bianca conchiglia
 che un’onda audace mi dona.
La guardo, nell’incavo una goccia rimasta.
Lacrima salata di dolore?
  Urla il mare, alzando l’onda.
Urla contro rive, scogli e falesie.
Ha raccolto corpi di anime perse.
Di braccia senza forze, che lasciano bimbi
buttati come prodotti scaduti.
Il pianto si spegne nel fondo 
e la sabbia amorosa li copre.
Anime, che mai avranno nome.
Urla il mare, il dolore la rabbia
sperando che l’uomo, accolga la voce.
 L‘ombra s’allunga, invita al ritorno
La casa sicura mi accoglie
e ancora la mano chiusa, forte stringe
la piccola conchiglia donata.
La guardo, un bacio la lacrima asciuga
lasciando sulle labbra l’amaro.
Nel cuore una muta preghiera
che il mare, non debba più urlare.