selenevalentina

mercoledì 5 febbraio 2014

RIFLESSIONE LACUSTRE

Lacustre riflessioni d'alberi.
Alberi, che madre terra nutre
come bimbo, che vita dal seno sugge.
Ed io, che ancora parlavo al domani
con loro amalgamavo le mie riflessioni
mentre dolcemente un alito
abbozzava increspature leggére.
Poi un giorno chissà
forse il vento, il destino, non so
il lago fu tutto tempesta.
Torbida l'acqua cancellò, le mie riflessioni.
Immemori di me, sulla riva
ancora si riflettono gli alberi
ma io, più non parlo al domani
Fugge il tempo, senza scandire giorni.
opaco, , di fronte, è il lago.


CONTINUITA'




Mi sveglio in una notte d’estate

in una camera di un albergo di Spagna

già conosciuta dopo qualche tournée.

Musica di chitarre in lontananza

è una forza che il letto mi fa lasciare.

Apro i vetri della grande veranda

e la musica si fa incalzante.

Scendo i gradini che portano in spiaggia

mentre la luna mi guarda perplessa.

Alzo le braccia, ali verso il cielo

assecondo il flamenco che l’animo strugge.

Agili i piedi danzano nella sabbia

mentre onde mi bagnano le caviglie

pressante invito a seguirle.

Di sole l'acqua è ancora calda

m'inoltro, m'immergo... mi lascio morire...

Rinasco in un piccolo corpo di bimba

in una sterile sala da parto

di un continente dall’altra parte del globo

Musica di chitarre in sottofondo

che accompagna il mio primo vagito

Un fremito si irradia e tutta m’avvolge

e la danza già è dentro al mio corpo.




FLAMENCO




"Sei nata sorridente"

Era una frase, che Alejandra, si era sentita ripetere decine di volte, dai genitori e dai parenti. E' vero, il sorriso era una caratteristica, che mai l'aveva abbandonata. Aveva avuto una vita, spesso movimentata ma, serena e appagante. I genitori l'avevano adorata e colmata di quell'amore, di cui loro stessi erano colmi. Era nata in Spagna, figlia di

ballerini di flamenco, che per anni, si erano esibiti sempre insieme, in teatri di tutto il mondo. La musica del flamenco, era stata, la prima colonna sonora. Ascoltata nella culla e negli anni a venire, era diventata, la ragione di vita. Era bella Alejandra, Lunghi, ondulati capelli corvini e occhi neri, lucenti come stelle. I genitori, erano stati i suoi maestri e ben presto, aveva cominciato a calcare palcoscenici. Chi la guardava danzare, ne rimaneva folgorato. Non era molto alta ma leggera e sinuosa e quel suo alzare appena la larga gonna a balze, che metteva in evidenza i tichettanti tacchi, accendeva il fuoco in molte menti. La carriera l'aveva portata a visitare, le più interessanti città, dove spesso si tratteneva per scoprirne le opere d'arte. Amava ogni cosa bella, dai quadri, ai monumenti, alla variegata natura. Si incantava di fronte a corone di montagne e ai tramonti, che infuocavano il mare. Ma quando voleva un periodo di vero riposo, se ne andava in un piccolo albergo, in un paese nel sud della sua amata Spagna. Le riservavano sempre la stessa stanza. Non era il lusso, che la interessava, di quello non si era mai innamorata. Quello, di cui sentiva il bisogno e che qui riusciva a trovare, era la semplicità e il silenzio. La camera, aveva una porta finestra, che si apriva su una veranda, che d'inverno era chiusa da vetri, in modo da poter ammirare il mare. Dalla veranda, scendendo pochi gradini, ci si trovava direttamente su una piccola, tranquilla spiaggia. Il mare, era suo amico. L'accoglieva, l'abbracciava, la accarezzava e la sosteneva. Qui, ritrovava sempre il dialogo con se stessa. Quel dialogo, di cui aveva bisogno, prima di affrontare un'altra tourné. Aveva avuto molti corteggiatori ma il suo unico amore era il flamenco. Unico amore, fino a quando aveva conosciuto joachin. Grande ballerino anche lui e insieme avevano condiviso, serate e applausi. Nonostante l'amore, non aveva mai voluto suggellarlo con il matrimonio. Non ne aveva mai parlato con alcuno ma, sentiva da sempre dentro, una incertezza, come una premonizione per il suo futuro. Non comprendeva cosa fosse e quel timore latente, ogni tanto riaffiorava . Joachin, aveva accettato la sua decisione e le era sempre rimasto accanto, con tenerezza e fedeltà. Capiva quando doveva essere presente e quando doveva lasciarla libera di vivere i suoi momenti di raccoglimento. Era ormai sulla soglia dei quarant'anni. Non era certo la tranquillità finanziaria a preoccuparla e lei non aveva mai sperperato denaro in cose futili, preferiva, fare donazioni, per la ricerca di malattie rare. Faceva ancora qualche spettacolo perché la musica, le scorreva nelle vene ma erano solo singoli spettacoli o brevissime tournee. Ora il sogno, che voleva realizzare, era una scuola di danza. Avrebbe insegnato il flamenco alle bambine, cercando di trasmettere il fuoco, che scaldava le vene. Era agosto e ancora una volta era tornata nel solito albergo. Quella mattina, si era alzata tardi. La notte non era stata delle più tranquille e al risveglio si era ritrovata, con un piede e una mano formicolanti. "Posizione Sbagliata". Aveva pensato. Una doccia e il problema se ne andò. I giorni passavano pigri, fra bagni di mare e ore con un rilassante libro. A sera tardi, sentiva giungere da lontano, musica di chitarre e capitava, che quasi senza accorgersene, si trovasse a danzare da sola. Il miracolo, che la musica le dava, si rinnovava. Dopo qualche giorno, si era svegliata nuovamente con il formicolio, questa volta più forte, che aveva tardato a passare. "Una visita medica, non potrà certo farmi male. Meglio prendersi cura della propria salute" pensò sorridendo. Il dottore, che la conosceva da anni, la convinse a farsi ricoverare in clinica per qualche giorno. Era un consiglio con un tono, che non ammetteva repliche. I pochi giorni, diventarono un mese abbondante. Le analisi si susseguivano. TAC, risonanze magnetiche, scintigrafie totali e ogni genere di approfondimento. Poi un giorno, ecco la tremenda diagnosi... SLA... Alejandra, si sentì mancare le forze. Il neurologo spiegò, che la malattia, poteva anche essere a lenta evoluzione, anche se non vi erano certezze. Era giovane, non aveva altre patologie, poteva pensare positivo. Invece la malattia, fece di testa sua e il calvario, cominciò a fare sentire il suo peso. Joachin le stava accanto, cercando di infonderle speranza ma, lei percepiva, che non avrebbe retto a lungo la

situazione. Un giorno, gli fece capire, che non aveva obblighi e se voleva, poteva riprendere la sua vita, dedicata al flamenco. L’uomo, non se lo fece ripetere due volte. La salutò, giurando, che sarebbe bastato un suo squillo di telefono e lo avrebbe visto, correre al suo fianco. Quello squillo non giunse mai. Alejandra, meditò molto sul suo avvenire. Era perfettamente consapevole, che le forze l’avrebbero abbandonata e avrebbe avuto bisogno di continuo aiuto da persone e da macchinari per restare in vita. La cosa la sconvolgeva. Non accettava l’idea di diventare un vegetale. Con un notaio, preparò un testamento in cui lasciava scritto la volontà, di non avere mai un accanimento terapeutico. e di essere lasciata in mano, al decorso naturale. Era Agosto, ancora una volta e lei, era lì, sola, ancora una volta… E quella musica in lontananza… Il mare era un amico. Accompagnava i movimenti con le onde… La luna fremette ascoltando, un primo vagito, provenire, dall’altra parte del mondo.


FATA?....O……



“Nonna, raccontami una fiaba”. “Ma ora dovresti dormire”. “Lo so ma, non ho sonno e poi domani, non devo andare a scuola”. “ E va bene. Te ne racconto una breve. Visto, che fuori sta nevicando, ti racconterò una storia, che mi ha raccontata una mia amica. E’ una storia vera, capitata proprio a lei. Tieni, prendi in braccio il tuo peluche e ascolta”.
Era andata in montagna, quel giorno. Anche se era sola, non aveva paura. Conosceva a memoria quel monte. Vi andava fin da bambina. La giornata, era splendida.
Le alte vette s'immergevano in un cielo talmente azzurro e profondo, che lei provava l'irrealizzabile impulso di tuffarcisi dentro. I declivi erano ricoperti da neve ghiacciata, che senz'altro doveva essere cosparsa di polvere di diamanti, che il sole faceva luccicare in arcobalenanti iridescenze. Alla sua destra, in quello che era un sentiero che s’innoltrava nel bosco, scorse delle orme. Erano senza dubbio orme femminili ma erano appena accennate, come se chi le aveva lasciate fosse estremamente leggera, in grado di camminare sfiorando appena il suolo innevato. La curiosità era forte. Perché quindi non seguirle? Era strano voltarsi indietro e vedere le proprie orme, piccole ma profonde, accanto a quelle di un enigma. Ad un tratto si trovò di fronte ad una quercia secolare, con il tronco squarciato da un fulmine, a mò di grotta e proprio qui le orme terminavano. Si guardò attorno per scorgerne altre ma, una nebbia improvvisa e impenetrabile, impediva di vedere anche a pochi centimetri di distanza. La cosa la turbò. Che poteva fare? Tornare indietro non era prudente perché, poteva perdersi nel bosco e scivolare in qualche crinale. Era stanca ma non poteva sedersi sulla neve. Decise allora di entrare nella nicchia del tronco. Tolse lo zainetto dalle spalle e si accomodò come meglio poteva. Dopo tutto non era neppure troppo scomodo. Prese dallo zaino il thermos pieno di thè, ancora quasi bollente, ne bevve alcuni sorsi e chiuse gli occhi per godersi il calore, che la ritemprava…
Il camino era piccolo ma, la fiamma era viva, danzante e mille scintille si rincorrevano e si perdevano nel buio della cappa. Davanti vi era un morbidissimo tappeto, era di un verde molto scuro e aveva un buon odore di muschio, Lei vi era comodamente seduta e si rilassava al tepore. La penombra le impediva di distinguere chiaramente la persona seduta accanto. Scorgeva appena un viso ovale, incorniciato da lunghi e ondulati capelli. Aveva una veste di un azzurro scuro, che la ricopriva fino ai piedi, con maniche larghe, dalle quali uscivano le mani morbide e affusolate, che le porgevano una tazza trasparente colma di una bevanda fumante. Era buona, e il sapore era dei frutti freschi del bosco e del miele grezzo. La figura femminile si alzò muovendosi leggera come se sfiorasse appena il pavimento e scomparve. Non avevano parlato ma si erano comprese ugualmente. Un ciocco del camino scoppiettò, la musica di arpe, che giungeva in lontananza si spense e lei aprì gli occhi. Dov’erano il camino, il tappeto e la diafana figura? Le gambe un poco intorpidite la portarono in fretta alla realtà. Uscì dalla nicchia dell’albero e si stirò per risvegliare i muscoli. La nebbia se n’era andata e seguendo a ritroso le orme che aveva lasciato poteva tornare facilmente al luogo di partenza. Si chinò per prendere lo zaino e scorse ai piedi dell’albero una foglia e un rametto. Li prese in mano, osservandoli attentamente. Erano chiaramente di Nocciolo ma nelle vicinanze non vi era presenza di questi alberi e anche se vifossero stati non avrebbero certamente avuto foglie e rami freschi. Li raccolse e si avviò pensierosa. Alla sera, giunta a casa, fece una doccia, si mise una calda tuta e si preparò una cena leggera. Accese anche la televisione ma non ascoltava le notizie perché la sua mente cercava ancora di risolvere il mistero del suo strano ritrovamento. Mangiò, lavò i piatti, riordinò la cucina e si avvicinò alla libreria per prendere un libro dove aveva deciso, avrebbe messo i due tesori boschivi. Ne scelse uno a caso, lo aprì e lesse alcune righe….– Fra i tanti e misteriosi abitanti dei boschi, vi sono anche le fate. Sono creature gentili e ricavano le loro bacchette magiche dai rami dell’albero del Nocciolo……
La bimba, guardò la nonna e chiese. “Nonna ma, sei proprio sicura, che sia una storia vera?”. “La mia amica, mi ha mostrato diverse volte, quella foglia e il rametto racchiusi nel libro. Ti assicuro, che nel corso degli anni, non hanno mai perduto la loro freschezza. Come posso io, dire, che la storia non fosse vera. Siamo sicuri di conoscere bene, la vita dei boschi?”. Gli occhi della bambina si stavano chiudendo. Strinse il suo peluche e si addormentò. Chissà, se avrà sognato fate. Io credo di sì…