selenevalentina
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giovedì 30 gennaio 2014
Quell'albero spezzato (riflessioni per un amico)
Era un albero buono, pacato, generoso. Sempre pronto a dare ombra, frutti, ospitalità a giovani cinguetii. Non chiedeva grandi cose, solo di essere amato, per quello che era. E di amore, ne aveva e stima, per il suo altruistico adoperarsi. Quell'albero, non era vecchio. Il tronco sembrava robusto, pronto a sfidare, venti contrari. Un giorno però, arriva una tempesta improvvisa, crudele. Una tempesta, che non guarda, dentro al cuore dell'albero. Sembra, abbia solo il compito di distruggere. E lo fa, incurante. Il tronco spezzato, resta lì. Non più potrà, donare protezione. Non più, sentirà cinguettii. Non più, linfa a rigenerare gemme. Resterà l'amore, di chi lo ha conosciuto, amato, visto felice. Quello resterà e sarà rinnovato da parole. Qualche volta, ci saranno lacrime, che cercheranno di penetrare nelle radici. Chissà perché, non credere, che in un indefinito luogo nello spazio,una parte, a noi invisibile dell'albero, ci stia ad osservare e ci infonda il pensiero di guardare oltre... La vita, è ancora di fronte a noi e lui, in silenzio, sarà al nostro fianco...
Per non dimenticare
Le voci provenienti dal buio, che sanno e vogliono raccontare. Che siano raccolte e ancora narrate. Legate da un filo indistruttibile, che le tenga unite. Perché nessun vento,possa disperderle. Per non dimenticare...
venerdì 10 gennaio 2014
RIFLESSIONI TRA VECCHIE PIETRE
In questo giorno, amica mia, voglio percorrere a ritroso con te, il sentiero già percorso, da chi a me è sconosciuto. Presso vecchie pietre sostiamo a cercare,attimi di vita, di volti, di voci, in quelle stanze, che guardano il cielo. Sul tavolo di povero legno, la parca cena, immaginiamo, di chi, della, a volte grama terra, dei pochi frutti si nutriva,. Nella fioca luce di una candela,che a creare ombre sulle pareti si divertiva, il verde radicchio spiccava, da lardo sciolto scaldato. Al centro un giallo, caldo sole di mais. Un bianco filo a tagliare fette, già dallo sguardo divorate, di quel giovanile appetito. Camino acceso, nelle sere d'inverno. Rosario in latino e bimbi, che sulla panca, chiudevano gli occhi. Rosario di Maggio nella cappellina. Il ritorno, fra corse e risate e qualcuno sempre s'attardava, per un complimento a mezza voce o per rubare un bacio, a quelle labbra, rosse di primavera. Quanti pensieri, quante preghiere, quanti sogni, che lontano volavano. Qualche amore, qualche gioia, qualche dolore, rimasti forse racchiusi dentro le pietre. E noi, che già anni, in altri luoghi, abbiamo vissuto, ci raccontiamo di noi, perché anche le nostre parole si uniscano a quelle già pronunciate. Una preghiera diciamo, sul sagrato di pietra. Non corse, non sogni vaganti, già la vita, li ha esauditi o scordati. Ha intrecciato emozioni, conoscenza e conoscenze, che a volte ci hanno aiutato e a volte, ci hanno tradito. Ma oggi non importa. Importa, che siamo qui, a condividere il giorno, in un luogo già amato e ancora da amare. Qui, dove il sole sa scaldare i cuori. Dove il vento s’insinua fra sterpaglie e vorrebbe estirparle. Mangiamo un pane e squisito ci sembra il sapore del cibo, da Dio benedetto. Cadono briciole… Un passerotto fiducioso s’accosta per becchettare. Poi alza il capìno. Lo sguardo s’incrocia. Comprende e cinguetta… BENVENUTE…

venerdì 3 gennaio 2014
ALLISON
Allison, stava guardando, attraverso la vetrata della sua villetta, i bambini dei vicini, che si rincorrevano e si tuffavano nella piscina, sotto l'occhio vigile della mamma. Era una scena, che le procurava sempre una tremenda fitta al cuore e ancora una volta si trovò a fare il bilancio della propria vita. Era rimasta orfana di entrambi i genitori, quando ancora bimba, quel tremendo attentato aveva distrutto la vita a migliaia di persone e tra essi, i suoi cari. Non avendo altri parenti, era stata messa dal governo, in un college, dove per superare il dolore si era tuffata sui libri, guadagnando ogni anno una borsa di studio. A lei sembrava una rivincita sulla vita crudele. A diciott'anni era andata ad abitare presso la famiglia Blake, come ragazza alla pari e dava anche qualche piccolo aiuto come segretaria. La famiglia, possedeva una splendida villa ed era ricchissima. Erano due sposi sui trent'anni, che avrebbero dovuto essere felici, invece avevano un dispiacere immenso. Non riuscivano, nonostante cure specialistiche e all'avanguardia, ad avere bambini. Allison, che intanto continuava gli studi conobbe Mark, un ragazzo, rimasto anche lui orfano nella stessa circostanza e per entrambi era scoccato il colpo di fulmine. Ma anche questa volta il destino ci mise del suo. Mark fu mandato dal governo, a combattere in una di quelle guerre scoppiata solo per motivi di petrolio e possedimenti di diamanti. Appena partito, Allison si era resa conto di attendere un bimbo. Gli aveva mandato subito un messaggio e lui per risposta, l’aveva pregata di cominciare a preparare i documenti, perché alla prima licenza si sarebbero sposati. Tutto quello, che ebbe dopo pochi giorni, fu una bara avvolta in una bandiera su cui piangere. Era disperata, non sapeva cosa fare. Gli studi non erano ancora terminati e non aveva neppure un lavoro sicuro. Si confidò con la signora Blake, che dopo aver cercato di consolarla per un paio di giorni, cominciò a consigliarle di interrompere la gravidanza, essendo ancora alle prime settimane di gestazione. Alla giovane questo consiglio sembrò strano, specialmente dato da una donna, che desiderava ardentemente un bambino. Il dolore però era immenso e la cruda realtà della propria vita, la convinsero. La signora, si sarebbe anche fatta carico delle spese, presso una clinica privata. Così un mattino Allison fu sottoposta ad anestesia totale e al risveglio,ebbe la conferma, che tutto era andato per il meglio. Per rimettersi in salute e per evitare una depressione latente, i signori Blake la mandarono, sempre a loro spese, in un’altra clinica privata, che si trovava però sull’altra costa del continente . Il clima migliore l’avrebbe aiutata. La ragazza si sentiva come svuotata da ogni sentimento e accettò ogni cosa come un automa. Dopo un mese in quella clinica, con l’aiuto di una psicologa, cominciò a sentirsi meglio. Fu in quel momento, che le giunse la notizia, che il signor Blake, le aveva trovato un ottimo impiego, in quella città. Avrebbe avuto a disposizione anche un piccolo appartamento. Per seguire gli affari della ditta, che aveva filiali sparse per il mondo, avrebbe dovuto viaggiare molto. Così la sua vita d’improvviso cambiò. Il lavoro era veramente interessante, poteva visitare gratuitamente splendide località e aveva anche potuto acquistare una graziosissima villetta. Una cosa sola non le era più riuscita di fare, innamorarsi. Il dolore dentro era ancora profondo e questo le aveva fatto rifiutare anche ottimi partiti. I contatti con la famiglia Blake si
erano diradati, non certo per colpa sua. La gratitudine, la conservava pienamente.
Si scosse dai pensieri e si avviò verso la cucina per prepararsi una tazza di the. Doveva disfare anche la valigia, dato che era appena tornata da un ennesimo viaggio di lavoro. Per questo però aveva tempo, perché per i prossimi giorni sarebbe stata in ferie. L’acqua era calda, mise la bustina nella tazza ma, proprio in quel momento sentì il campanello della porta. Andò ad aprire, convinta di trovarsi di fronte la vicina venuta a darle il bentornata. Invece la persona, che le stava di fronte, le procurò un fortissimo batticuore. Erano passati ormai vent’anni, c’era qualche segno sul viso ma riconobbe subito la signora Blake. Cercando di vincere l’emozione l’abbracciò stretta, invitandola ad accomodarsi. La signora si sedette in una comoda poltrona. Era elegantissima, come sempre, pochi gioielli ma di gusto raffinato. Solo l’espressione degli occhi era cambiata. Si poteva scorgervi, infatti, un velo di tristezza e di ansia. Allison le offrì una tazza di the, chiedendo come mai avesse deciso di farle visita senza nessun preavviso, anche se la cosa la riempiva di gioia. La sua ospite si attardava a sorseggiare la calda bevanda, con le mani, che a tratti avevano un tremito. Allison non si spiegava questo comportamento ed educatamente cercò di invogliare la donna a confidarle quello, che la turbava così profondamente. La signora Blake, posò la tazza ormai vuota, sul tavolino, si asciugò le labbra con un fazzolettino, tolto dalla borsetta e improvvisamente cominciò a singhiozzare disperatamente. Le parole sgorgavano come un fiume in piena. Parlava in fretta, quasi come temesse di non avere il coraggio di continuare. Allison ascoltava come in trance. Non poteva essere vero, quello che udiva, era solo un racconto di fantascienza. La signora, infatti, stava dicendo, che l’embrione, che avevano tolto a lei, nell’interruzione di gravidanza, era stato impiantato nell’utero della sua benefattrice e così dopo otto mesi, seguita da ricercatori, aveva dato alla luce, una splendida bimba, che forse per qualche recondito senso di colpa, era stata chiamata, Allison. La ragazza tremava come una foglia. Non era possibile, la sua bimba non era morta, era solo cresciuta in un grembo, di un’altra donna e lei non ne aveva mai saputo nulla. Non aveva potuto cullarla, accudirla, vederla crescere. Si sentiva imbrogliata, defraudata della cosa più preziosa. Guardava la donna che seduta di fronte, continuava a singhiozzare e non sapeva più se provare odio o pena. Ma per quale motivo si era decisa solo ora a rivelarle questa assurda verità? Con quale scopo? Queste furono le domande, che urlando pose alla sua amica, nemica. La signora si asciugò gli occhi, ormai gonfi e arrossati e disse, che il motivo era molto grave. Lei e il marito, avevano adorata questa figlia, non le avevano fatto mancare nulla e aveva potuto studiare nelle migliori scuole. Era cresciuta serenamente ma ora, improvvisamente si era ammalata di una tremenda malattia, che poteva essere curata solo con un trapianto di midollo compatibile. Così si erano visti costretti a rivelare la verità, prima alla ragazza, che avendo guardato degli esami del sangue, suoi e di quelli, che aveva sempre considerato genitori, si era accorta, che il proprio gruppo sanguigno, era diverso dal loro. Come poteva nascere un figlio con RH 0 da due genitori con RH B e A? A quel punto solo la verità poteva mettere fine alle pressanti domande della giovane vent’enne. Al principio era caduta in un mutismo, protrattosi per molti giorni, poi aveva cominciato a chiedere della madre naturale, sperando, che il suo midollo osseo potesse essere compatibile, perché lei era troppo giovane e non voleva morire. Aveva molti progetti da realizzare, esperienze da fare, voleva un marito e dei figli. Così la signora Blake aveva preso un aereo ed ora era lì, tremante e singhiozzante, a chiedere aiuto per salvare quella creatura, che era di entrambe. Allison portò le tazzine nel lavandino, le lavò, le ripose con una lentezza esasperante, mentre le tempie le martellavano. L’altra la guardava muoversi avanti e indietro, senza più avere il coraggio di proferire una sola parola. Ad un certo punto la vide salire le scale, che portavano al piano superiore e temette, che fosse un modo per accomiatarla ma la vide subito riapparire con una valigia in mano. Dopo tutto non l’aveva ancora disfatta e per i prossimi giorni sarebbe stata in ferie.
erano diradati, non certo per colpa sua. La gratitudine, la conservava pienamente.
Si scosse dai pensieri e si avviò verso la cucina per prepararsi una tazza di the. Doveva disfare anche la valigia, dato che era appena tornata da un ennesimo viaggio di lavoro. Per questo però aveva tempo, perché per i prossimi giorni sarebbe stata in ferie. L’acqua era calda, mise la bustina nella tazza ma, proprio in quel momento sentì il campanello della porta. Andò ad aprire, convinta di trovarsi di fronte la vicina venuta a darle il bentornata. Invece la persona, che le stava di fronte, le procurò un fortissimo batticuore. Erano passati ormai vent’anni, c’era qualche segno sul viso ma riconobbe subito la signora Blake. Cercando di vincere l’emozione l’abbracciò stretta, invitandola ad accomodarsi. La signora si sedette in una comoda poltrona. Era elegantissima, come sempre, pochi gioielli ma di gusto raffinato. Solo l’espressione degli occhi era cambiata. Si poteva scorgervi, infatti, un velo di tristezza e di ansia. Allison le offrì una tazza di the, chiedendo come mai avesse deciso di farle visita senza nessun preavviso, anche se la cosa la riempiva di gioia. La sua ospite si attardava a sorseggiare la calda bevanda, con le mani, che a tratti avevano un tremito. Allison non si spiegava questo comportamento ed educatamente cercò di invogliare la donna a confidarle quello, che la turbava così profondamente. La signora Blake, posò la tazza ormai vuota, sul tavolino, si asciugò le labbra con un fazzolettino, tolto dalla borsetta e improvvisamente cominciò a singhiozzare disperatamente. Le parole sgorgavano come un fiume in piena. Parlava in fretta, quasi come temesse di non avere il coraggio di continuare. Allison ascoltava come in trance. Non poteva essere vero, quello che udiva, era solo un racconto di fantascienza. La signora, infatti, stava dicendo, che l’embrione, che avevano tolto a lei, nell’interruzione di gravidanza, era stato impiantato nell’utero della sua benefattrice e così dopo otto mesi, seguita da ricercatori, aveva dato alla luce, una splendida bimba, che forse per qualche recondito senso di colpa, era stata chiamata, Allison. La ragazza tremava come una foglia. Non era possibile, la sua bimba non era morta, era solo cresciuta in un grembo, di un’altra donna e lei non ne aveva mai saputo nulla. Non aveva potuto cullarla, accudirla, vederla crescere. Si sentiva imbrogliata, defraudata della cosa più preziosa. Guardava la donna che seduta di fronte, continuava a singhiozzare e non sapeva più se provare odio o pena. Ma per quale motivo si era decisa solo ora a rivelarle questa assurda verità? Con quale scopo? Queste furono le domande, che urlando pose alla sua amica, nemica. La signora si asciugò gli occhi, ormai gonfi e arrossati e disse, che il motivo era molto grave. Lei e il marito, avevano adorata questa figlia, non le avevano fatto mancare nulla e aveva potuto studiare nelle migliori scuole. Era cresciuta serenamente ma ora, improvvisamente si era ammalata di una tremenda malattia, che poteva essere curata solo con un trapianto di midollo compatibile. Così si erano visti costretti a rivelare la verità, prima alla ragazza, che avendo guardato degli esami del sangue, suoi e di quelli, che aveva sempre considerato genitori, si era accorta, che il proprio gruppo sanguigno, era diverso dal loro. Come poteva nascere un figlio con RH 0 da due genitori con RH B e A? A quel punto solo la verità poteva mettere fine alle pressanti domande della giovane vent’enne. Al principio era caduta in un mutismo, protrattosi per molti giorni, poi aveva cominciato a chiedere della madre naturale, sperando, che il suo midollo osseo potesse essere compatibile, perché lei era troppo giovane e non voleva morire. Aveva molti progetti da realizzare, esperienze da fare, voleva un marito e dei figli. Così la signora Blake aveva preso un aereo ed ora era lì, tremante e singhiozzante, a chiedere aiuto per salvare quella creatura, che era di entrambe. Allison portò le tazzine nel lavandino, le lavò, le ripose con una lentezza esasperante, mentre le tempie le martellavano. L’altra la guardava muoversi avanti e indietro, senza più avere il coraggio di proferire una sola parola. Ad un certo punto la vide salire le scale, che portavano al piano superiore e temette, che fosse un modo per accomiatarla ma la vide subito riapparire con una valigia in mano. Dopo tutto non l’aveva ancora disfatta e per i prossimi giorni sarebbe stata in ferie.
lunedì 28 ottobre 2013
LA MARIA
Guardai l’orologio, mentre voltavo la pagina del calendario.
Erano le due del pomeriggio del 1 Febbraio. La primavera era ancora lontana e anche le gite in montagna.
Erano questi i miei pensieri mentre riappendevo il calendario, quando all’improvviso mi vidi davanti il viso della Maria. Era stata solo una frazione di secondo, come un flash, ma non mi spiegavo questa presenza nei miei pensieri.
La Maria era una delle prime persone, che avevo conosciuto nella mia vita. Abitava come una decina di altre famiglie, nella piccola frazione di montagna dove sono nata. poche case strette fra loro come a farsi compagnia e stare più calde nelle lunghe sere d’inverno. Viveva con il marito in una modesta casa con una scala esterna, regno incontrastato dei tanti gatti che lei amava. Insieme al marito curava la poca campagna le due mucche nella stalla e l’orto, che era il loro orgoglio e che forniva verdura fresca durante tutto l’anno. Non mancavano neppure le galline e le gabbie con i conigli. Nei giorni di festa dalle sue finestre usciva un buon profumo di brodo o di arrosto che si spandeva nei dintorni. Non avendo figli suoi coccolava quelli degli altri, più con lo sguardo che con gesti e parole. Infatti, era molto riservata, mai aveva malignità verso altri e anche quando era alla fontana a lavare i panni o a scaldare il forno, con le altre donne, per la cottura del pane, il suo atteggiamento era sempre dei più corretti. Un brutto giorno, il marito le morì all’improvviso e lei rimase sola a continuare la sua vita semplice e dignitosa. Dopo qualche anno, noi bambini, sentimmo dire dai grandi, che la Maria si era trovata un altro uomo, molto più giovane di lei e che si sarebbe sposata presto. Così fu e da quel giorno la sua vita cambiò. Al posto del solito vestire grembiuloni neri e pesanti calze di lana o cotone, a seconda della stagione, cominciò ad indossare vesti un poco più eleganti e con qualche timido accenno di colore. La parrucchiera non era molto frequentata allora, dalle donne di montagna, ma per ovviare ai capelli bianchi, li tingeva con il lucido per le scarpe. Al giovedì, giorno di mercato, andava in paese con il suo nuovo compagno, per acquistare le poche cose necessarie per la casa e che non poteva avere dall’orto o dai suoi animali. Poi siccome il suo Giovanni non disdegnava qualche bicchiere di vino, andava a recuperarlo nell’osteria e se lo riportava a casa. Durante i due km. di strada del ritorno non mancavano certo i rimbrotti per questo vizio. Se qualche volta lui si recava in paese da solo, lo aspettava con ansia, controllando spesso la strada fin dove una curva le toglieva la visuale. Al ritorno se capiva, che Bacco gli stava facendo compagnia, erano urla che uscivano dalla finestra. però in fondo si volevano un gran bene e l’unione continuava. Proprio in quel periodo, mi trasferii, con la mia famiglia, in una città a molti km. di distanza e per vari motivi per tanti anni non tornai nella piccola frazione e non ebbi neppure contatti con alcuno. Dopo una trentina d’anni, nel frattempo ero cresciuta, mi ero sposata e avevo avuto un figlio e avevo di nuovo cambiato residenza, incontrai per puro caso Lella, mia ex compagna di giochi d’infanzia. Fu per me un incontro bellissimo, le chiesi notizie di tutti i vecchi conoscenti e naturalmente anche di Maria. Lei mi spiegò che era ancora viva, nonostante i suoi novant’anni, che era ancora in gamba, sempre innamorata del marito, che però essendo stato operato alla gola e non potendo più parlare, non poteva ribattere ai rimproveri. Da quel momento nacque in me, un sentimento sconosciuto, la nostalgia. Pensavo spesso a Lella e a tutti gli altri, desideravo rivedere i luoghi che mi avevano visto bambina e così una domenica mattina, mio marito decise di accompagnarmi in questo mio tuffo nel passato. Man mano la meta si avvicinava, l’emozione aumentava e i ricordi sopiti, non dimenticati, riaffioravano tumultuosamente. Giunta fra le vecchie case, scesi dall’auto per dirigermi verso la casa di Lella ma per fare ciò dovetti passare davanti alla casa di Maria. Era seduta sulla scala esterna a scaldare le ossa al sole primaverile, con un grosso gatto accoccolato al fianco. Appena mi vide mi riconobbe, mi chiamò, mi fece sedere accanto a lei e mi tempestò di domande, mentre le sue mani nodose, tenevano strette le mie come se non volesse più lasciarmi allontanare. Da quel giorno tornai molto spesso e ogni volta, per prima cosa andavo a trovare lei. Poi per colpa di quelle pesanti pause, che la vita ti impone, per molti mesi non potei andare e non ebbi notizie. Era appunto il periodo in cui mi ero soffermata a guardare il calendario e avevo avuto il flash bak. Per fortuna anche i periodi neri hanno una fine e finalmente dopo qualche mese, in una splendida mattina di sole mi ritrovai davanti alla casa di Maria. Stranamente non la vidi come al solito seduta sulla scala esterna a godersi il sole. Pensai fosse entrata in casa e la chiamai ad alta voce ma non ottenni risposta. Salii le scale sempre chiamandola e mi vidi venire incontro il marito. chiesi dove fosse Maria, lui mi guardò con l’angoscia negli occhi, aprì la bocca e con uno sforzo enorme mi disse -E’ morta.- Poi scoppiò a piangere e le lacrime scendevano scorrendo fra le profonde rughe, come un fiume in piena che sta esondando. Cercai di farmi dire quando era successo ma dalla sua bocca uscivano solo dei suoni gutturali e incomprensibili. Lo consolai come meglio potevo, poi quando lo vidi più tranquillo andai da Lella. Lei mi confermò la triste notizia aggiungendo – Se ne è andata il primo Febbraio alle due del pomeriggio.- Sentii un brivido percorrermi tutta poi mi decisi a raccontarle quello che mi era accaduto. A lei potevo dirlo perché ha la mia stessa sensibilità e la mia stessa fede. In quel momento comprendemmo, che Maria, prima di andare in paradiso, era passata a salutarmi.
martedì 1 ottobre 2013
VECCHIA SCUOLA
"Buongiorno bambini. Diciamo la preghiera e poi, ci mettiamo al lavoro."
La scuola, ascolta le voci dei bimbi e si sente felice. Eccoli, seduti ai loro banchi, intenti a svolgere i compiti assegnati. La stanza, non è molto grande. Una lavagna, un tavolo per cattedra, una carta geografica ad una parete. Su un'altra parete,vari disegni colorati, raffigurano monti, alberi, pecore al pascolo, il sole in un cielo azzurro. Al centro dell'aula, una stufa di terracotta rossa, rilascia calore. Accanto una cassetta con qualche pezzo di legna secca, portata da casa. I bambini hanno diverse età. Si va dalla prima alla quinta elementare. La maestra gira fra i banchi, segnando con un dito, un errore sul quaderno. Accarezzando una testolina, ancora un poco assonnata. Di strada ne era stata fatta, a piedi, per raggiungere la scuola. Nelle orecchie le parole delle mamme. "Cercate di studiare molto, così da grandi, avrete una vita migliore"
Una vita migliore? Chissà cosa voleva dire. Non era forse già bella la loro? Avevano una famiglia. Amici per giocare, prati per correre, alberi, dove arrampicarsi per mangiare frutta. D'estate la libertà nei prati sul monte con le mucche e le pecore da pascolare. Che chiedere di più? Sorride la scuola. Ne ha visti passare di bambini. Chissà dove saranno ora. Ma lei li ricorda tutti con amore e vorrebbe poter risentire tutte quelle voci insieme, cantare un girotondo. Una folata di vento forte, fa sbattere un'imposta. Entra nella stanza e girando attorno, fa cadere calcinacci. La scuola, si desta d'improvviso. Era stato solo un bellissimo sogno. Da troppi anni quelle voci, sono solo nei suoi ricordi. La lavagna non c'è più. La carta geografica, cade a pezzi, logorata dal tempo. Il sole del disegno è sbiadito e il cielo ingrigito. Solo pietre fatiscenti. Sono andate via le famiglie. “Spero abbiano trovato, quella vita migliore, che desideravano”. pensa la scuola. Intorno a lei solo altre pietre cariche di ricordi. Una grande tristezza la invade, è difficile lasciarsi andare alla rassegnazione. Guarda verso il cielo e lo prega, di mandarle una nuvola, che possa piangere per lei.
domenica 29 settembre 2013
CASE ABBANDONATE
mercoledì 11 settembre 2013
PARLANDO CON VECCHIE PIETRE
Conosco il luogo e in un pomeriggio d'estate, accanto, a vecchie case di pietra, mi sono fermata. Aiutata da un vento leggero, ho ascoltato le loro parole. Ricordavano il passato. E di che altro potevano parlare, per non pensare allo sfacelo, che su loro incombeva? Mi hanno chiesto, se sapevo, di chi era partito. Quale luogo aveva raggiunto e se era stato triste o felice. E quei bimbi incerti nei passi, di loro avevano ricordo? Non sapevo, chi qui fosse nato, ne il luogo del loro destino, ma di migranti potevo parlare. Di navi, che andavano lontano, di treni e valige quasi vuote, che poco, qui possedevano. Di grandi cucine di alberghi, con montagne di piatti da lavare. Di sconosciute famiglie, a cui dovevano, rispetto e lavoro. Di miniere buie e profonde, dove la morte era sempre in agguato. Mi hanno chiesto, cos'era città. Ho parlato di anonimi palazzi e di grattacieli, che toccano nubi. Ora i figli, di chi qui era nato, eredità avranno raccolto, di ricchezza o normalità. Ho parlato di auto sfreccianti, sostituti di asini e muli. Di persone, che camminano a lungo, per piacere e non per dovere. Di smog, che nasconde le stelle. Di donne, che dividono il tempo, fra casa e un'altro lavoro. Di bimbi, fermi per ore a guardare uno schermo digitale. Inconsapevoli della gioia di giochi in cortile, fino a quando, scende la sera. Di cibi nella plastica avvolti. Di pranzi già pronti, da mettere in freezer. Pensando magari a un racconto, di un orto dietro la casa. Ho descritto arredi e quadri. Di bagni, con comode vasche. Non più quattro assi di legno, in mezzo ad un campo. E' vero, non c'è il filosso e lo scambio del pane al bisogno. Il rosario nell'oratorio,tra profumo di rose sbocciate. Di mietere insieme il grano e cantando, raccogliere uva. Di c'era e di c'è, a lungo ho parlato. Fino a quando, la domanda è arrivata. Cos'era migliore. Il presente o il passato? Ho pensato, analizzato ogni cosa ma una risposta, non ho trovato. Non ho più visto, le vecchie case di pietre. Non so se sono in piedi o cadute. Mi piace pensare, che quei bimbi di un tempo, guidati da, inconscio bisogno, siano passati a dare un saluto, a un ricordo, dal tempo sbiadito.
sabato 8 giugno 2013
53 Per Flavio Nespi
Magico Giugno. Era giugno anche allora. La primavera già aveva mostrato tutte le sue magnificenze. La valle era traboccante di profumi di fiori, di fieno, di frutta e rossi papaveri raleggravano i campi. La notte, le lucciole illuminavano il maturare del grano. I grilli, con il loro invito amoroso, intrecciavano concerti. Ed è allora, che il destino, ha scelto la data per il tuo ingresso nella vita. Con il primo vagito, hai respirato la tua valle. Il primo sguardo si è riempito della sua bellezza e ha posto un marchio di appartenenza nel tuo cuore. Ti sei rotolato nei prati, con cani e amici. Hai rincorso lucciole e cercato grilli, nascosti nel buio. Guardavi i monti, tu bimbo e già col pensiero percorrevi sentieri. Li hai percorsi tutti, scoprendo doni d’incanto, da salvaguardare. Con pazienza e passione ti sei adoperato affinché, grazie ad un web, in ogni parte del mondo, ne venissero a conoscenza. Perché i valligiani fossero uniti in un unico progetto, di aiuto e amicizia. Ora più non rincorri lucciole ma, nel momento in cui, tramonto e notte, si contendono il cielo, ti fermi ad ascoltare, ciò, che racconta il vento. Lentamente riavvolgi i pensieri del giorno, mentre i grilli ancora, con il loro concerto d'amore, fanno sottofondo.
E' in questo momento, amico mio, che ti auguro un
FELICE COMPLEANNO
Valentina
FELICE COMPLEANNO
Valentina
La casa dove sono nato e ho vissuto fino a 14 anni, in questa casa ancora vive mia mamma e i miei ricordi
grazie Valentina di questa tuo bel regalo
mercoledì 31 ottobre 2012
GIOCANDO CON I COLORI
disegno di Marina Rossi
-E’ brutto tempo, che si può fare ?-
chiedono i bimbi - Per non annoiarci ?-
-Faremo un gioco - dice la nonna
- Che fa lavorare la fantasia .-
Prende i colori e li mette vicino
a un foglio bianco che aspetta curioso.
- Disegneremo una fiaba con personaggi
che volta per volta inventeremo noi.
Chi vuol cominciare? Facciamo la conta
vi piace ancora, c’era una volta?-
Nascono cose davvero strane
c’è un piccolo drago su un’astronave.
C’è una farfalla che danza sul palco
e un piccolo elfo che batte le mani.
Che importa se piove se con i colori
un mondo magico possiamo inventare?
Arriva la mamma a prender i bimbi
finito ha il lavoro, a casa si torna.
Un bacio alla nonna –Torniamo domani
tieni pronti i colori e un foglio curioso
che altre fiabe dobbiamo inventare.
Prende i colori e li mette vicino
a un foglio bianco che aspetta curioso.
- Disegneremo una fiaba con personaggi
che volta per volta inventeremo noi.
Chi vuol cominciare? Facciamo la conta
vi piace ancora, c’era una volta?-
Nascono cose davvero strane
c’è un piccolo drago su un’astronave.
C’è una farfalla che danza sul palco
e un piccolo elfo che batte le mani.
Che importa se piove se con i colori
un mondo magico possiamo inventare?
Arriva la mamma a prender i bimbi
finito ha il lavoro, a casa si torna.
Un bacio alla nonna –Torniamo domani
tieni pronti i colori e un foglio curioso
che altre fiabe dobbiamo inventare.
lunedì 28 maggio 2012
PROFUMI ANTICHI
Non si sentiva profumo di cera per pavimenti, ne profumo di deodoranti
spray o inseriti nella presa di corrente... La corrente ancora doveva
arrivare in quelle case di pietre, sul fianco del monte Barigazzo. Il
profumo di pulito sì, quello di acqua, sapone e tanto olio di gomito.
Quello serviva dentro e fuori casa, dal mattino a sera. Ma quello che
più ritorna alla memoria, mentre si spinge un carrello, tra gli scaffali
del supermercato, è il profumo delle antiche ricette... I "padeletti",
che gioia, quando vedevi la mamma intenta a prepararli. Già ne
pregustavi il sapore... Farina acqua e sale, gli unici ingredienti.
Lavorati a lungo a formare una morbida pastella, che si gonfiava. Una
piccola padella con un poco di olio, due cucchiai per volta, pronti a
rivoltarli e mani pronte per farne un
sol boccone. Poi la "chisòla"... Un pezzo di pasta del pane, allora lo
si faceva solo in casa, conservando il "lievito madre". Si schiacciava
ad un altezza di un paio di centimetri, fino ad ottenere un disco
grande, bucherellato sulla superficie, con i rebbi della forchetta, che
veniva cotto nella padella unta di olio o burro. Provate ad immaginarlo
con del formaggio tenero, fatto naturalmente dalla mamma, come il burro,
che si scioglieva in bocca. E del "brustlon" ne vogliamo parlare?...
Sempre con pasta del pane, schiacciata e messa direttamente a cuocere
sulla stufa a legna. Abbrustoliva leggermente, da qui il nome... Un bel
pezzo, spezzettato in una scodella di latte appena munto, batte il
sapore di ogni marca di, fette biscottate, che accompagnano ora, le
nostre colazioni … Riemergono i profumi di sapori antichi, conservati
nel cassetto dei ricordi più cari.
domenica 20 novembre 2011
RIFLESSIONI -1965-
E' l'alba… L’alba del giorno dopo… Socchiudo gli occhi nella stanza nuova. Il chiarore filtra dalla tapparella non da crepe di scuri che il tempo ha segnato. Richiudo gli occhi e sorridendo immergo i pensieri nella nuova realtà. Ho una città da scoprire, nuove amicizie da incontrare. Esperienze da riempirne una vita. Lascio le coltri leggere, apro la finestra e una mano di ferro mi stringe il cuore. Dov'è il castello che da sempre mi dava il buongiorno? Dov'è la valle, il Ceno, il Pizzo D'Oca e la chiesetta sotto il diaspro rosso? Solo finestre di case allineate avvolte da nebbia che non conoscevo riempiono lo sguardo. E' questo il pegno che devo pagare per un cambiamento tanto voluto? Chiudo la finestra. Non ho voglia di guardare, ci vorrà del tempo per assimilare. E vi prego non ditemi maiche comunque, l'alba sorge sempre ovunque.
martedì 27 settembre 2011
Sorriso antico
E' in quel sorriso e in quello sguardo, che ci puoi leggere una vita intera e certo anche lo stupore di poterla raccontare a persone sconosciute ma attente.
giovedì 22 settembre 2011
Il degradare dei colori della sera....
Il degradare dei colori della sera induce a riflessioni... A volte infonde quella dolcezza, quel romanticismo, che fa battere forte il cuore... A volte da quiete nei pensieri... A volte fa pensare al lento defluire della vita... Ma c'è sempre un punto luminoso, che da la speranza di una fine... non infinita.
sabato 17 settembre 2011
RIFLESSIONI GUARDANDO IL MARE
Guardare il mare dagli scogli...
Perdersi nell'infinità dell'orizzonte...
Nella precarietà di piccole barche... nella fragilità di bianche vele...
Con la consapevolezza, di un faro che ti guida.
Perdersi nell'infinità dell'orizzonte...
Nella precarietà di piccole barche... nella fragilità di bianche vele...
Con la consapevolezza, di un faro che ti guida.
mercoledì 14 settembre 2011
Avidamente assorbe il mare, gli ultimi raggi d'estate... Perché un clic li possa fermare... Per goderne ancora, per non dimenticare.
martedì 13 settembre 2011
PRIME RIFLESSIONI AUTUNNALI
Valentina ha scritto:
L'estate sta finendo... Già e non è, che stai parafrasando il titolo di una canzone. Il Fatto è che d'improvviso, coscientemente, ti ritrovi a pensare, che anche ... un'altra... estate sta volgendo alla fine. Hai già visto terminare quella di altri ma ora tocca a te è il tuo turno. La luce si fa più fioca, di giorno, in giorno. I colori sbiadiscono e il tramonto per il calare delle forze è sempre più prossimo. Un raggio di sole filtra, fra i rami dell'albero di fronte alla finestra e disegna sul pavimento, trame di foglie. Foglie d'autunno sbocconcellate dal tempo. Eh si! il tempo si diverte a sbocconcellare ogni cosa. Ma anche l'autunno può avere colori caldi e frutti dolci. Basta cercarli... E poi ascolta, dalla radio escono le note di sostakovic. Quel valzer, che sempre ti emoziona e ti porta ricordi. Il primo successo, non lo si può dimenticare. Trilla il telefono... E' l'amica del cuore. Dopo tutto non sei sola a vivere l'autunno. E poi non era proprio malinconia... Era solo una riflessione.
L'estate sta finendo... Già e non è, che stai parafrasando il titolo di una canzone. Il Fatto è che d'improvviso, coscientemente, ti ritrovi a pensare, che anche ... un'altra... estate sta volgendo alla fine. Hai già visto terminare quella di altri ma ora tocca a te è il tuo turno. La luce si fa più fioca, di giorno, in giorno. I colori sbiadiscono e il tramonto per il calare delle forze è sempre più prossimo. Un raggio di sole filtra, fra i rami dell'albero di fronte alla finestra e disegna sul pavimento, trame di foglie. Foglie d'autunno sbocconcellate dal tempo. Eh si! il tempo si diverte a sbocconcellare ogni cosa. Ma anche l'autunno può avere colori caldi e frutti dolci. Basta cercarli... E poi ascolta, dalla radio escono le note di sostakovic. Quel valzer, che sempre ti emoziona e ti porta ricordi. Il primo successo, non lo si può dimenticare. Trilla il telefono... E' l'amica del cuore. Dopo tutto non sei sola a vivere l'autunno. E poi non era proprio malinconia... Era solo una riflessione.
Pino Bertorelli ha scrittto:
Valentina, quanta verità nella tua gradevolissima "prosa poetica"!!! Davvero me la sono gustata! Tu dai voce... ai miei pensieri, la tua riflessione è... la mia: l'autunno, sinonimo (per molti) di malinconia, non è così!!! "I colori caldi e i frutti dolci... basta cercarli" e si trovano, eccome!!!Patrizia Feltrin (Feltrizia) ha scritto:
gocce di poesia che inumidiscono la carta, ondulano il foglio piatto, e danno voce alla neniai del ritorno. Lungo... breve, il tempo è un dettaglio. Dura un attimo.In quell'attimo ci sono io,ci sei tu, ci siamo noi nella musica della vita c...he ci fa danzare. Ritmi frenetici o ritmi lenti o ritmi zoppi e ridendoci addosso spacchiamo il mondo finchè il mondo non spacca noi. Ma comunque abbiamo vinto... siamo dove vogliamo essere... comunque ... con mille mani pronte o fors'anche solo un cellulare che suona: "come sta? e una voce ti ricarica... e non è la compagnia telefonica...
sabato 10 settembre 2011
E giunge la notte. Il sole se ne va. Qualche guizzo di un ultimo raggio. Il blu si fa scuro. L'immaginario clik di stelle che s'accendono. Irrompe la via lattea e giunge lei, regina della notte, che lentamente s'incammina. E' l'attimo giusto, per lasciarsi scivolare in un sogno.
giovedì 21 luglio 2011
BANALITA' QUOTIDIANE?
In fila, alla fermata
della metropolitana.
Un giorno s’eran trovati
Cade un biglietto
lui lo raccoglie.
Un grazie, uno sguardo,
un sorriso.
Questione di pelle?
Cupido ha forse colpito?
Su una panchina del parco
Perché non analizzare.
la situazione?
mercoledì 13 luglio 2011
BANALITA’ QUOTIDIANE
Fa male camminare tranquilli
e ascoltare tredicenni
sigaretta fra le dita
per sentirsi padroni del mondo
far commenti cattivi
sulla tua disabilità. E se cerchi
di far capire lo sbaglio
il branco t'attacca.
Fa male e ancora più male
fa il pensiero che sono il futuro.
Anche questo purtroppo
è quotidianità.
Fa male camminare tranquilli
e ascoltare tredicenni
sigaretta fra le dita
per sentirsi padroni del mondo
far commenti cattivi
sulla tua disabilità. E se cerchi
di far capire lo sbaglio
il branco t'attacca.
Fa male e ancora più male
fa il pensiero che sono il futuro.
Anche questo purtroppo
è quotidianità.
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