selenevalentina

mercoledì 29 giugno 2016




1956
Dalla strada comunale si giungeva, di fronte all’arco con cancello, sempre aperto, della grande corte contadina. La casa a forma di elle ospitava due famiglie. I proprietari erano tre fratelli di cui, uno solo era sposato. La moglie, aveva venti anni di meno, del marito. Bionda, grassottella, che sfogava l’infelicità, di un matrimonio obbligato, cucinando e mangiando. Aveva cinque figli ma, il protagonista del racconto vero, aveva appena festeggiato il quarto compleanno, proprio in quell’anno. Il piccolo Dino, cresceva felice,
seguendo il lavoro dei grandi e giocando con il grosso cane. Praticamente non aveva giocattoli e in casa, non possedevano neppure una radio.  Di giornali e giornaletti, neppure a parlarne. Il padre era troppo avaro per concedere quei lussi. Quando però non si conosce come è il mondo, al di fuori dei monti attorno, non potevano esserci grandi aspettative, per una mente innocente.
 La madre, aveva cresciuto i figli con dolcezza, alternata a severità e in casi di disubbidienza, era la bacchetta, che teneva aportata di mano, a lasciare segni sulle gambe. Aveva proibito a Dino di allontanarsi , da solo, dal cortile. C’erano spesso zingari in giro e aveva paura che lo rapissero.
Un giorno, intenta nelle solite faccende, si accorse della mancanza del bambino. Lo cercò in ogni angolo senza risultato. Disperata, stava per andare a chiedere aiuto agli uomini, quando lo vide arrivare tranquillamente.
 Dove sei andato, lo sai che non ti devi allontanare dal cortile e le parole furono seguite, dal segno rosso, lasciato dalla bacchetta sulle gambe.
Mamma, non sono scappato. Sono andato nel prato grande perché , gli omini belli mi hanno chiamato. Avevano bisogno di me.
Omini belli? Erano gli zingari che volevano portarti via?
 Ma no mamma, sono omini  molto più piccoli di me. Sono scesi da una grossa palla, un po’ schiacciata. Sono molto belli e la donna, ha lunghi capelli biondi. Sai mamma, nonè che parlassero ma io li capivo e li dovevo aiutare  per ripartire. C’era una spece di ferro che dovevo togliere.
 La madre, non sapeva cosa fare. Che stava dicendo, suo figlio? Era impazzito o aveva solo la febbre molto alta? Lo portò in casa e gliela misurò. Niente febbre. Era fresco e aveva anche fame.  Forse qualche vicino, gli aveva raccontato una storia strana? Si fece ripetere la cosa e si fece promettere che non si sarebbe più allontanato, che la bacchetta, era sempre pronta. Passarono giorni tranquilli ma un pomeriggio, eccolo scomparire di nuovo.  La scena e le parole del bimbo, furono fotocopia della volta precedente. La povera donna, non sapeva cosa fare. Ne parlò con gli uomini, dicendo che avrebbe portato Dino dal dottore per una visita completa. Gli uomini scoppiarono a ridere, dicendo che erano solo fantasie di un bambino, che non sapeva come divertirsi. Il padre, gli comperò anche un pallone perché potesse sfogare la sua voglia di correre. Periodo tranquillo, ma quando il fatto accadde per la terza volta, la donna decise di passare alle maniere forti. Lo picchiò con la bacchetta, lo mandò a letto senza cena e per diversi giorni, lo tenne chiuso in casa.
Osservandolo, vide che aveva spesso in mano un oggetto strano e ci giocava. Cosa poteva essere? Dove lo aveva preso? Glielo chiese e la risposta, la lasciò senza parole.
 Questo mamma, è il pezzo che devo togliere dalla grossa palla degli omini, perché possano ripartire.
Glielo prese e lo mostrò agli uomini e agli altri figli. L’oggetto fu esaminato a lungo senza riuscire a capire, di che materiale fosse fatto. Provarono a piegarlo, a scalfirlo, a romperlo. Nulla. Dino, continuava a raccontare la sua versione. La madre glielo nascose e lo minacciò, di venderlo agli zingari, se non smetteva di dire bugie. Il castigo terminò e dopo qualche giorno, eccolo sparire di nuovo. Al ritorno, la donna, fece per alzare la bacchetta ma si fermò. Sul viso del bimbo, c’era un’espressione di smarrimento, che la turbò. Chiese, dove fosse andato.
Mamma, ma sono sempre rimasto qui a giocare con la palla e il cane!
Non sei andato dagli omini belli?
 Dino la guardò stupito, senza capire. Che stava dicendo, sua madre? Lei si zittì e  tenendolo sotto osservazione, notò, che quando qualcuno parlava degli omini, lui sembrava non capire.
Gli anni volarono. I fratelli migrarono all’estero e il padre anziano, chiuse gli occhi. Erano passati vent’anni giusti e Dino, era rimasto accanto alla madre, per prendersi cura del podere. Un pomeriggio, intenti a mettere la frutta nelle cassette, la madre, lo sentì mandare un gemito e sbiancare in volto. Lo fece sedere, gli portò dell’acqua e stava per telefonare al medico quando lui la bloccò. La fece sedere accanto e chiese.
Mamma, ti ricordi quando avevo quattro anni e ti parlavo, di omini belli?
A questo punto fu la donna a mandare un gemito. Non poteva ricominciare ancora con questa storia. Ora non poteva più metterlo in castigo e la bacchetta, non esisteva più…. L’uomo cominciò a raccontare….
Vedi, io mi sentivo veramente chiamare da quei piccoli esseri.Scendevano veramente da una grossa specie di palla schiacciata e quando volevano ripartire, io dovevo spostare, quell’oggetto che avevo portato a casa ma, che non ho più ritrovato. Tu non mi credevi e l’ultima volta che sono andato, ho pensato, che ne avrei preso uno, per portartelo a fare vedere. Probabilmente, hanno capito il mio pensiero. Sono diventati cattivi, mi hanno minacciato e detto, che per vent’anni, non mi sarei ricordato di loro. A quel punto, mi colpirono con una luce forte e mi sono ritrovato nel cortile, ad ascoltare te, che parlavi di cose strane….
Questo racconto, è vero. Non l’ho vissuto in prima persona ma ero accanto ai protagonisti ed essendo ancora bambina, la vivevo come una fiaba. La donna se ne è andata da anni ma Dino, è ancora fermo, nel raccontare questa storia.

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