selenevalentina

mercoledì 7 marzo 2012

ERA ESTATE…ANCHE ALLORA


"Era estate anche allora": Cominciò a raccontare il vecchio, seduto all'ombra del pergolato. "Era estate anche allora e nell'aria attorno, odore di fieno che faceva sternutire e la miseria ci acuiva l'inventiva". Parla non per, plurale majestatis, ma perché senz'altro accomunava fratelli e compagni. "Andavamo dai padroni del grande podere appena fuori dall'abitato, per chiedere di poter aiutare a spigolare. Ci mettevamo in gruppo, di buona lena, ridendo, scherzando e facendo solletico con le spighe sulle gambe delle bambine. Si schernivano spostandosi ma io credo, che in fondo lo prendessero come un complimento. A lavoro ultimato, la Signora ci compensava con grandi fette di pane, alte tre dita, bagnate con il latte e spolverizzate con lo zucchero e a noi sembrava fosse un giorno di festa. Chiedevamo di poter raccogliere la frutta matura dagli alberi e in cambio potevamo tenere qualche pera, che il vento aveva fatto cadere a terra o qualche albicocca appena becchettata dalla voracità di un uccellino. A dire il vero, una o due pere, scivolavano nelle tasche dei pantaloni ma non era rubare, era per quella giovane fame, che a tavola non si chetava, forse perché la fetta di polenta era sempre troppo piccola. Credo che la Signora se ne accorgesse ma era madre e le gambe troppo magre le facevano compassione. Qualche fico lo divoravamo direttamente sull'albero con tutta la pelle per non lasciare tracce. prima però li aprivamo per vedere che dentro non ci fosse una, tenaglia, perché avevamo sentito raccontare che un bambino era stato punto sulla lingua, che si era gonfiata e aveva rischiato di soffocare. Le uova no, quelle non ci era permesso raccoglierle, era merce troppo preziosa da vendere al mercato settimanale. Le patate invece potevamo raccoglierle. Con zappa e mani per non spaccarle, riempivamo cassette, che gli uomini poi caricavano sul carro per portarle nel luogo adatto alla conservazione. Per quel lavoro venivamo compensati con un sacchettino dello stesso raccolto e per qualche volta il pasto cambiava sapore e le nostre madri ci facevano una carezza”. Smise di parlare il vecchio e i nipoti, seduti a terra, magliette firmate e jeans rotti ad arte, come voleva la moda, lo guardarono speranzosi in una ripresa del racconto. “Lui si scosse e “A volte ci mandavano a, far foglie, davano ad ognuno di noi un sacco di iuta e noi andavamo nel bosco vicino a prendere foglie verdi dagli alberi, che poi venivano date in pasto alle mucche, che le mangiavano con avidità. Per ricompensa, la signora, sul pane mettevo una fetta di formaggio fatto in casa accompagnato da un bicchiere di latte. A volte andavo solo, io ero il più grandicello, sui dodici anni. Pulivo le gabbie dei conigli e alla fine mi attendeva un grande foglio di giornale con verdura raccolta nell’orto, che a casa portava allegria nel pasto fresco e colorato. Poi sono andato a trovar fortuna in un paese con una lingua da imparare. Da principio il lavoro era duro ma sul tavolo, i miei figli, avevano la frutta non becchettata, anche se a me sembrava meno saporita e mandavo soldi a mia madre, perché potesse mangiare carne, anche se non era Natale”. Si interruppe nuovamente lo sguardo fisso sul campo, abbandonato di recente, da una modernissima mietitrebbiatrice. Si alzò, con un poco di fatica e si diresse nel campo. Si guardò intorno a lungo, poi si chinò a raccogliere qualche cosa. Ritornò con un passo quasi agile e ora lo sguardo aveva un non so che di bambinesco. Mentre gli occhi dei nipoti si colmavano di una tenerezza rispettosa, si avvicinò alla sua unica compagna di sempre e ridendo, con una spiga raccolta fra le stoppie, le fece il solletico sulle gambe.

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