selenevalentina

lunedì 14 ottobre 2013

CAMINITO

Caminito cubierto de cardos.- Sono le parole del celebre tango, che mi ritrovo a canticchiare sommessamente, imboccando lo stretto sentiero, che curva dopo curva, sale fino alla piccola cappella. Mi guardo attorno. Il panorama è meraviglioso. Non lo ricordavo così; forse allora, vedendolo continuamente, lo davo per scontato, senza fare caso ai particolari. Un gruppo di asinelli sta pascolando nel prato. Mi fermo ad osservarli e il più piccolo si avvicina guardandomi con occhi grandi e dolci. Preme il muso contro il mio fianco cercando carezze. Apro il marsupio, prendo un pacchetto di crackers ed ecco, mi sono conquistata un amico. Saliamo insieme e il pacchetto man mano si svuota. Quanti anni sono passati! Quaranta, una mezza vita. Era il 15 Agosto, quell'ultima volta. Vent'anni e una vita ancora da scoprire. C'era sagra quel giorno, che ricorda la Vergine Maria. Eravamo il solito gruppo di amici e amiche. Avevamo mangiato nel prato, dopo aver ascoltato la Santa Messa davanti ad un altare improvvisato, sotto ai grandi faggi. Avevamo riso, scherzato e cantato mentre mangiavamo il cibo portato da casa e poi c’eravamo sdraiati sull’erba, con quella voglia di far niente. Bruno, sottovoce, mi aveva invitata ad andare con lui proprio in quel sentiero, così tanto per fare una passeggiata. Lo avevo seguito perché adoravo camminare e poi volevo salutare la Madonnina, che sembrava attendere i viandanti là in alto. Il sentiero era ripido ma non per noi con gambe allenate alla montagna. Intorno alla cappellina c'era un muretto e lì c'eravamo fermati per riposare. Bruno mi aveva preso le mani e mi aveva dichiarato il suo amore, mentre un asinello ci guardava con curiosità. Mi ero lasciata baciare e il cuore aveva cominciato a fare capriole ma nonostante l'emozione provata, lo avevo allontanato. Non potevo ascoltare i sentimenti. Non allora. Il giorno dopo mi sarei trasferita in città con i miei genitori. Avevano trovato un lavoro di portierato in un prestigioso palazzo del centro, abitato da dottori, avvocati e architetti. Intorno c'era un grande giardino, che avremmo dovuto curare, oltre naturalmente alle pulizie di scale, ascensori e incombenze varie. Là, la vita sarebbe totalmente cambiata. Avrei vissuto a contatto con persone ricche e
importanti. Ero giovane e molto bella e senz'altro uno di loro si sarebbe innamorato di me, chiedendomi di sposarlo. Avrei fatto la vita da signora di città, non la vita di moglie di un fabbro di un piccolo paese nascosto fra i boschi. Naturalmente non dissi tutto questo al giovane che mi guardava con occhi innamorati. Dissi solo che non volevo impegnarmi data la prossima lontananza e poi per lui provavo solo una profonda amicizia. I suoi occhi si erano riempiti di dolore e io mi ero morsicata le labbra per non dirgli che era solo l'ambizione che mi fermava. Povera illusa! Nessun inquilino si era innamorato di me. Per loro ero solo la figlia dei portinai e i soli inviti che mi facevano erano per chiedermi se ero disposta a fare le pulizie anche nei loro appartamenti o per stirare montagne di camicie. Al quinto piano abitava un'anziana baronessa, che mi aveva presa in simpatia. Mi chiamava per farle compagnia e mi chiedeva di leggerle qualche libro, delle centinaia, che aveva nella libreria del suo studio, arredato con mobili antichi e, in stile francese. Leggendo mi ero fatta una discreta cultura e la signora mi aveva insegnato anche ad usare la macchina da scrivere. Ma era molto anziana e dopo qualche anno aveva lasciato questo mondo, tranquillamente, mentre dormiva. A funerali avvenuti, ero stata invitata nello studio dell'avvocato del terzo piano e qui avevo appreso che la baronessa mi aveva lasciato in eredità qualche parure di gioielli e una piccola somma di denaro, che su consiglio dei miei genitori, depositai in banca, per una sicurezza futura. Gli anni passavano, qualche giovane dei dintorni aveva tentato di corteggiarmi, ottenendo solo un rifiuto. Non capivo questa freddezza. Era solo perché ancora speravo in un marito ricco o era il ricordo di quell'unico bacio sotto lo sguardo di un asinello?
Ero quasi arrivata. Dopo quell’ultima curva avrei visto la cappellina e avrei potuto rilassarmi e pensare in totale solitudine. In tutti quegli anni non ero più ritornata neppure a vedere la nostra casetta giù in paese. Solo i miei genitori erano venuti un paio di volte e avevano lasciato le chiavi in custodia alla Maria, una gentile vicina, che però si era spenta da qualche mese. Dopo molti anni, i miei cari ormai anziani avevano lasciato il lavoro nel palazzo e ci
eravamo trasferiti in un grazioso appartamento acquistato con grandi sacrifici ma ben presto anche per loro era venuto il tempo di chiudere gli occhi. Io avevo trovato lavoro come commessa responsabile in un grande negozio di abbigliamento e da un mese ero andata in pensione. Erano state quindi queste circostanze a farmi decidere per quel ritorno. Volevo fare qualche foto alla vecchia casa per affidarne la vendita ad un’Agenzia Immobiliare. Certo non ne avrei ricavato molto perché dopo così tanti anni l’avrei trovata in uno stato precario, ma tanto valeva provare. C’era sempre qualche cittadino desideroso di pace e silenzio, che cercava una casa anche da ristrutturare. Eccomi finalmente, ma è un moto di stizza che provo. Seduto sul muretto c’è un uomo. Non è possibile, proprio lì doveva venire a sedersi? Comunque sono stanca e devo riposarmi, tanto vale approfittare del muretto. L’uomo al rumore dei miei passi si volta e un’espressione prima di stupore e poi di gioia, si alterna sul suo viso. Allunga le mani verso di me. “Rita! Sei proprio tu?”. “Bruno!” dico e le labbra mi tremano. Mi prende la mano e mi fa sedere. Mi sembra di rivivere la scena di quarant’anni fa, ma non è una dichiarazione d’amore, che esce dalle sue labbra, è un fiume di domande. “Sei proprio tu? Sei sempre bellissima. Raccontami tutto di te. Come mai sei ritornata?”. Parla e parla ma lo sguardo è fisso sugli anelli che ho alle dita. Sono quelli della baronessa ma non c’è nessuna fede nuziale. “Non mi sono mai sposata e tu?” “Neanch’io.” Sorride perché l’asinello si è avvicinato a cercare coccole. “Devo scendere, si fa tardi”. Ci incamminiamo. Tolgo dal marsupio un altro pacchetto di crackers e l’asinello scende con noi, fino al prato, dove raggiunge i suoi compagni. Ci voltiamo per salutarlo e scoppiamo a ridere perché ci siamo messi a canticchiare all’unisono “Caminito cubierto de cardos, che il tiempo...”. Saliamo sulle nostre auto e dopo una decina di minuti ci fermiamo davanti alla casa. Non ho il coraggio di guardarla. In quarant’anni il tempo si sarà divertito a consumarla. Scendo e rimango a bocca aperta. L’alto zoccolo intorno e lo stipite della porta sono freschi di calce. I ganci degli scuri sono nuovi, in ferro battuto. Guardo Bruno con aria interrogativa. “Mi sono permesso di fare qualche lavoretto.” “Perché non mi hai cercata, ti avrei mandato i soldi delle spese”. I suoi occhi si rattristano. “Così mi offendi. Mi spiaceva vederla rovinarsi e l’ho fatto nel tempo libero. Per me era un passatempo, non pensavo te ne avessi a male”. “No scusa, è stata la sorpresa a farmi parlare così e ti sono riconoscente di tutto questo”. Apro la porta, le stanze sono vuote. I pochi mobili erano stati regalati dai miei genitori ad una famiglia bisognosa ma, le pareti sono imbiancate. “Ho dato solo una passata di tempera” dice Bruno e poi “Ma ora che cosa hai intenzione di fare? Ritorni a vivere qui?”. “Sinceramente non lo so. Ero venuta con l’intenzione di fare foto per metterla in vendita ma ora sono piuttosto confusa e devo pensarci meglio. Devo andare, si fa tardi e ho centocinquanta Km. di strada che mi aspettano. Mi serviranno per pensare. Mi aiuteranno a prendere la decisione giusta”. Usciamo, chiudo la porta, mi avvicino all’auto e allungo la mano per salutare. Bruno la stringe forte. Ho un desiderio pazzo di abbracciarlo. Chissà se anche lui prova la stessa cosa. Faccio due passi, poi mi volto, mi alzo sulla punta dei piedi e gli do un leggerissimo bacio sulle labbra e il cuore fa un balzo da fare invidia a un canguro. Salgo in auto velocemente, metto in moto e parto. Dopo qualche metro do un piccolo colpo di clacson e nello specchietto retrovisore, vedo Bruno che mi manda un bacio con la mano.
VSM



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