Eleonora (la chiameremo così per motivi di privacy, come dicono gli Inglesi) era una bambina buona e tranquilla per indole ed educazione. Viveva con mamma, papà e una sorella, in un graziosissimo paese, dal quale si poteva ammirare l’ampia valle del Ceno, la corona dei monti attorno e dove gli abitanti si sentivano protetti da un possente castello. Amava sentire raccontare favole, le piaceva la musica e s’incantava ad ascoltare, quando alla radio sentiva cantare Amalia Rodriguez, che interpretava il fado in modo magistrale. La famiglia di Eleonora non era né ricca, né povera. Il padre aveva un lavoro ed uno stipendio sicuro, ma le spese dovevano comunque essere valutate con oculatezza. I giocattoli erano pochi e anche i vestiti, anche se tenuti sempre in perfetto ordine dalla mamma, non erano certo abbondanti. In quel periodo ad Eleonora erano state comperate delle pantofoline rosse, con il cinturino alla bebè e la punta un poco squadrata. Appena indossate, la bambina si era alzata sulla punta dei piedi e aveva cominciato a piroettare intorno al tavolo della cucina, come fosse una ballerina di danza classica. Chissà come poteva conoscere questi movimenti, visto che all’epoca la televisione non c’era, neppure nel bar del paese. Forse qualcuno gliene aveva parlato, oppure aveva visto qualche immagine sulla Domenica del Corriere, rivista che il padre comperava settimanalmente. In quegli anni le case erano riscaldate con la legna e i genitori della bimba andavano, quando la stagione lo permetteva e come facevano molte altre persone, a far legna, nel greto del torrente. Raccoglievano i vari rami, che erano scesi con la corrente durante l’inverno. Ne facevano fascine, che poi, portate a casa e messe al coperto, sarebbero state usate per accendere il fuoco nella stufa economica, che serviva sia per riscaldare la cucina, che per cuocere i cibi. E quante buone polente si sarebbero cotte su quelle fiamme e quante torte di patate, di verza, di riso, di erbette e anche dolci nei giorni di festa, sarebbero uscite dal forno di quella stufa. Questi, accompagnati anche da pane e formaggio, erano i cibi, che nutrivano la famiglia nei giorni che passavano, appunto, sul greto del torrente. Per le bimbe la mamma preparava anche grandi fette di pane con olio, sale e pomodoro fresco, che venivano divorate con giovanile appetito.
Alle due sorelline piacevano molto queste uscite, perché potevano passare tutto il giorno giocando con la sabbia e nell’acqua bassa e limpida dove cercavano, inutilmente, di prendere con le mani piccoli pesci che guizzavano fra sassi levigati e dilavati dallo scorrere perenne del torrente.
Lungo il greto pascolavano, in cerca di ciuffi d’erba, anche alcune mucche. Ad Eleonora non piacevano molto e ne aveva anche timore. Erano talmente grosse e poi quelle corna appuntite non le ispiravano nulla di piacevole, quindi cercava sempre di starne il più lontano possibile. Anche in quella splendida giornata, le due bambine avevano giocato a lungo con la sabbia, poi, chiesto il permesso ai genitori, erano entrate nell’acqua, dopo aver lasciato i vestiti e le scarpe (Eleonora aveva le sue scarpette rosse) all’ombra di un salice. Stavano scherzando allegramente, quando videro le mucche, avvicinarsi al salice ed Eleonora s’accorse, con grande sgomento, che una di loro aveva preso in bocca una delle sue scarpette e la stava masticando. Cominciò ad urlare disperatamente, senza avere il coraggio di uscire dall’acqua, bloccata dalla paura e dal dolore. I genitori accorsero prontamente e il papà riuscì ad allontanare gli animali e togliere la scarpina dalla bocca della mucca. Purtroppo, però, era irrimediabilmente rovinata e ci volle molto tempo per frenare quelle lacrime. Il torrente le accoglieva e le portava via in fretta, quasi volesse contribuire a calmare quell’immenso dispiacere. Si calmò solo quando le venne fatta la promessa che le avrebbero comperato delle altre scarpette uguali. Era felice e triste allo stesso tempo, perché da bambina sensibile, qual era, sapeva che sarebbe stata una spesa imprevista. Il giorno dopo, però, un altro dispiacere l’attendeva nel negozio, perché il negoziante disse che non aveva più quel modello e che di scarpette simili non se ne trovavano più neppure nei magazzini. Le comperarono, quindi, un altro modello. Erano rosse anche quelle, avevano il cinturino alla bebè, ma la punta normale e arrotondata. Rimase in silenzio, dato che era troppo educata per mettersi a piangere nel negozio, ma, giunta a casa, le indossò subito e cercò di alzarsi sulle punte. Non ci riuscì, perché la nuova calzatura era inadatta. Allora sì che le lacrime ricominciarono a sgorgare dai suoi occhi. Piangeva in silenzio: era come se il suo sogno di ballerina si fosse infranto per sempre e ancora non sapeva che ben altre e più gravi difficoltà avrebbero infranto
altri sogni e speranze.
Ora Eleonora è una signora di mezza età. Ama ancora le favole, la musica e il fado di Amalia Rodriguez. Non ha potuto avere (e trasmettere) emozioni da un palcoscenico, danzando con scarpette dalla punta squadrata. Ora le emozioni provate cerca di trasmetterle attraverso le parole, che, con l’aiuto di un computer amico, sua guida attraverso la nebbia da anni posatasi sui suoi occhi, lei riesce ad imprimere su bianchi fogli accoglienti.
(Valentina Selene Medici)
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