selenevalentina

mercoledì 2 novembre 2011

LA LEGGENDA DEI TRE ALBERI




La strada, che attraversando il bosco di faggi e castagni, porta fino ai cancelli da dove in breve tempo si giunge alla cima del monte, dove un’alta Croce benedice le valli attorno, negli ultimi anni, nei tratti più ripidi è stata asfaltata, per rendere più agevole il transito de i vari amanti dei picnic e del trekking. Il monte è meraviglioso, con ampi prati soffici, dove cavalli in libertà pascolano tranquilli, concedendosi qualche galoppata e che non disdegnano di venire a mangiare da una mano tesa, un pezzo di pane con fresche sorgenti di acqua dal sapore di neve sciolta, ben lungi da quello che esce dai rubinetti delle case di città. Nei sentieri più nascosti ci sono grosse pietre squadrate ricoperte da muschio, di un verde profondo, che richiama alla mente, voglia di presepio. Di alberi ce ne sono di tutte le età e nessuno forse si attarda ad osservarne le varie forme. Se qualcuno però ponesse attenzione, si accorgerebbe di un grosso albero, a lato della strada. Ha il grosso tronco, squarciato dall'alto in basso ma non è morto, perché i rami che si ergono verso il cielo, come braccia, che chiedono aiuto, ad ogni primavera si coprono di verdi foglie. Proseguendo lungo la strada, si giunge ad una radura, dove una fontanella, con una piccola vasca, invita alla sosta. Da qui parte un sentiero segnato ora da orme di cavalli e da cingoli di trattori. Dopo una decina di minuti di cammino, alla destra si può ammirare un laghetto, circondato da arbusti di felce, dove le raganelle la fanno da padrone e al minimo rumore di passi si tuffano nell'acqua, creando piccole onde, che vanno a infrangersi sulle sponde basse e erbose. Il sentiero si divide in due, proseguendo si entra nel folto del bosco, invece seguendo il tracciato di destra, dopo una breve salita, si giunge in una radura, con una decina di alberi secolari messi quasi in cerchio. Entrando, sulla sinistra si vede un albero dalla forma strana. Sembra il corpo di una donna. Il tronco, nella parte inferiore, si divide, come fossero due gambe in posizione di fuga e salendo ricorda le rotondità femminee. Uno dei grossi alberi, invece, guardandolo con attenzione prende le sembianze di un grosso cane San Bernardo. Intorno si scorgono segni di scavi, dove resti di costruzioni, che si pensa siano di un’antichissima fortificazione, affiorano tra arbusti e faggi. Questi alberi già da tempo avevano attirato la mia curiosità e attivata la mia fantasia ma la cosa si fermava lì. Un giorno, mentre, seduta su una grossa pietra, mi stavo riposando dalla lunga camminata, nei sentieri ricchi di creste ma anche di rovi con succose more, si avvicinò un anziano montanaro, che abitava nella casa appena fuori dal bosco. Cominciammo a parlare della suggestione di quella radura, delle tante leggende che la riguardavano e della stranezza dei tre alberi. Lui rimase pensieroso per qualche momento, poi mi disse che, a proposito degli alberi, era a conoscenza di una leggenda, che veniva tramandata da secoli e che, se ero disposta ad ascoltarlo senza spaventarmi, l’avrebbe raccontata. Io non aspettavo altro e mi misi comoda, pendendo dalle sue labbra. Disse che appunto tanti, tanti secoli prima, in quel luogo sorgeva un villaggio, abitato da boscaioli e da contadini, che lavoravano la terra intorno. Era un popolo tranquillo ma era il tempo in cui maghi, fattucchiere e streghe la facevano da padroni. Così, un brutto giorno, non si conosce bene per quale motivo, dopo un tremendo temporale con tuoni, fulmini e trombe d’aria, l’intero villaggio sprofondò e fu ricoperto da terra e acqua. Nessuno ne conobbe mai la causa, ma dopo tanti anni, quando le acque si ritirarono, formando solo un laghetto e dalla terra affiorarono parti di antiche mura, alcuni curiosi cominciarono ad andarvi a scavare, convinti di trovare chissà quale tesoro. Molti, però, scomparivano e non se ne avevano più notizie, altri invece venivano visti allontanarsi a gambe levate, con gli occhi colmi di terrore e nessuno riusciva a far loro dire che cosa li avesse spaventati a tal punto. Un giorno, giunsero da una città vicina, attirati da voglia di avventure, un giovane accompagnato da una ragazza e da un magnifico cane San Bernardo. Chiesero indicazioni per giungere nel luogo misterioso e con la spavalderia dei giovani, non si fermarono ad ascoltare, chi li consigliava di desistere dal progetto. Il cielo era terso e di un azzurro così profondo da sembrare dipinto. Nell’aria aleggiava profumo di terra umida e di viole e primule, che trapuntavano il sottobosco. Giunti nei pressi del laghetto, i ragazzi si concessero una breve sosta, mentre il cane si abbeverava, facendo così fuggire decine di raganelle. Quindi proseguirono e ben presto si trovarono nella radura. Si tolsero i grossi zaini, che avevano sulle spalle e appoggiarono sul terreno il piccone, che sarebbe servito per fare qualche scavo. Cominciarono a sondare il terreno, cercando il punto adatto per dare inizio al lavoro. Proprio al centro della radura il suolo sotto ai colpi del piccone, mandò un suono cupo e questo li convinse a fermarsi proprio lì. Il ragazzo si tolse la giacca e con le braccia robuste cominciò a scavare. Nel frattempo il cielo si era ricoperto di nubi, che sembravano diventare sempre più minacciose ma la foga per chissà quale scoperta, non permetteva loro di accorgersene. Mentre il buco nel terreno si faceva sempre più profondo, un vento gelido e impetuoso, iniziò a fare volare foglie, in un turbinio inquietante. Il grosso cane dava segni di paura e si mise ad abbaiare furiosamente. Neppure quello li distolse perché proprio in quel momento il piccone battè contro una superficie metallica. I due non stavano più nella pelle per la gioia, pensando di avere trovato chissà quale tesoro. Incuranti del vento, della pioggia, che cadeva a raffiche, dei lampi e dei tuoni, si affrettarono a scoprire quella specie di cassaforte, aiutandosi anche con le mani per toglier la terra più in fretta. Il cane, percependo il pericolo, con quel sesto senso, che distingue gli animali, tentò, tirandoli per i vestiti, di convincerli ad allontanarsi, ma loro in preda ad una frenesia irrefrenabile lo scacciarono e con grande sforzo, riuscirono a sollevare il coperchio. Cosa accadde in quel momento lo si può soltanto immaginare. Probabilmente forze maligne rimaste rinchiuse per secoli, ritrovarono la libertà e si riversarono contro i loro liberatori. Il primo ad essere colpito fu il cane. Subito dopo fu la volta della ragazza, che rimase bloccata per sempre a pochi metri di distanza, in quella posa di fuga. Il giovane più robusto cominciò a correre per il bosco, con la consapevolezza, che se fosse riuscito a raggiungere la strada principale sarebbe stato in salvo. Finalmente al chiarore di un fulmine vide la terra battuta a non più di un metro di distanza. Il fiato gli mancava, le gambe cedevano e aveva il corpo sanguinante per i rovi, che lo avevano ferito. Rallentò solo un attimo, si volse e questo gli fu fatale, Un fulmine tremendo lo colpì proprio ad un passo dalla salvezza. Il vecchio montanaro smise di raccontare e mi guardò, cercando sul mio viso i sentimenti provocati dal racconto, Aveva lo sguardo di chi la sa lunga e non sapevo se quello che mi aveva narrato era veramente una leggenda tramandata o era solo una sua invenzione per prendersi gioco della mia curiosità. Non lo saprò mai, ma, ogni volta che faccio quel percorso, mi soffermo ad osservare i tre alberi e mi guardo bene dallo scavare il terreno. Preferisco godere della bellezza del luogo e magari un giorno incontrerò qualcuno che mi racconterà un’altra storia con fate e gnomi come protagonisti.
(Valentina Selene Medici)

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